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Riprende il dibattito sulla Brexit. Il mercato più ottimista su una soluzione per lo shutdown.

Ieri sera, quando sembrava che l’S&P stesse per aver ragione della resistenza in area 2600, in suo soccorso è arrivato il WSJ, con un pezzo in cui si citava un imminente inchiesta federale USA su Huawei per furto di tecnologia. Una mossa del genere ostacolerebbe le trattative in corso, e quindi è comprensibilmente malvista dai mercati. Detto questo, la reazione è stata modesta, con Wall street che ha chiuso comunque con un marginale guadagno.
Durante la seduta asiatica è peraltro emerso che USA e Cina hanno confermato l’incontro di fine gennaio (30-31) con il viaggio del Vice Premier (e primo consulente del Presidente) Lui He in America. Nonostante ciò, il sentiment si è ulteriormente deteriorato nella seduta asiatica, forse anche a causa del fatto che il Ministero del Commercio cinese ha espresso preoccupazione per la possibile nuova inchiesta.
Così l’azionario cinese non ha messo a segno i guadagni che promettevano ieri i futures in chiusura della seduta europea, cedendo invece marginalmente terreno in una giornata in cui gli altri indici hanno avuto un andamento contrastato, e i future su Wall Street hanno approcciato la seduta europea in calo di qualche decimale di punto.

L’apertura europea ha sofferto di questo sentiment. La sopravvivenza del Governo May alla mozione di sfiducia di Corbyn (325-306) era scontata per cui difficilmente l’azionario continentale poteva trarne beneficio. Per contro, l’affermazione del Repubblicano Grassley che Trump starebbe considerando di elevare dazi sulle auto europee ha infastidito il settore e in generale ridato un po’ di slancio alla teoria che il Presidente US, dovendo prolungare per motivi economici la tregua con la Cina, potrebbe spostare la linea di tiro sul vecchio continente, allo scopo di intrattenere il suo elettorato con le consuete tematiche “America first”. Considerando i livelli su cui tratta il settore auto europeo (6/7 volte gli utili) direi che questo scenario, che comunque ricompare periodicamente da qualche mese, è già in parte scontato, e potrebbe essere più che bilanciato da una ripresa congiunturale cinese, dovesse questa presentarsi, anche in virtù della tregua.
Sul fronte Brexit, il prossimo passo è la presentazione, lunedi, di un nuovo piano, che dovrebbe venir votato il 29 gennaio. La May ha iniziato le consultazioni coi gruppi parlamentari, per giungere ad una nuova versione, ma poichè usa come base la vecchia proposta, Corbyn si è rifiutato di incontrarla e ha messo come condizione che lei escluda un uscita senza accordo. In compenso, la parte di Laburisti che vorrebbe un nuovo referendum sta uscendo allo scoperto. Corbyn, che finora era stato negativo, non lo ha più escluso Nel pomeriggio sembra sia circolato addirittura un memo del Governo su un possibile referendum che indica che per organizzarlo servirebbe un anno. Trattandosi di materiale governativo, non è da escludere che il contenuto mirasse a mostrarne la impraticabilità. Ma il suo circolare corrobora l’impressione, coerente con la reazione del cambio, che le probabilità di una uscita senza accordo, o di una “hard brexit” stiano continuando a ridursi, e che la possibilità di una nuova consultazione referendaria stia recuperando terreno, rispetto a nuove elezioni, come alternativa allo scenario centrale, ovvero un nuovo accordo da presentare a Bruxelles.

Nel primo pomeriggio, la porzione di dati macro USA lasciata in piedi dallo Shutdown ha offerto notizie migliori di ieri. Il Philly Fed di gennaio, che a dicembre aveva mostrato, in anticipo su altre survey regionali, un discreto calo, è bruscamente rimbalzato (17 da 9.1 e vs attese per 9), ribaltando il quadro fornito martedi dall’Empire NY survey. Nel dettaglio, forti i new orders (+8 a 21.3), mentre shipments ed employment sono calati.
Meno ispirato di ieri il newsflow sul fronte trimestrali, con il “miss” Morgan Stanley che è intervenuto a moderare l’euforia sul settore bancario, con effetti correttivi anche su quello europeo.

Sul fronte shutdown, nessun segnale ufficiale di disgelo tra le parti, ma sui mercati si nota un crescente ottimismo sulla possibilità che a breve si muova qualcosa. Il principale motivo è che sui media cominciano apparire chiari indizi che il blocco sta danneggiando la popolarità del Presidente. Da quando è iniziato, i sondaggi di Trump stanno mostrando un marcato deterioramento (vedi grafico), e circolano indiscrezioni che il suo neonato comitato elettorale per la rielezione sia già preoccupato.

Inoltre, si sta accumulando un buon numero di stime che quantificano il costo per l’economia dello Shutdown, da uno 0.1% di GDP la settimana per l’amministrazione, ad altri che vedono anche una contrazione nel primo trimestre se il blocco si protrarrà a oltranza. In generale, sembra improbabile che Trump voglia rischiare di provocare un rallentamento ciclico, in particolare nella seconda metà del suo mandato, quando la performance dell’economia può diventare più cruciale per le sue possibilità di rielezione. Per cui il mercato sembra propendere per una qualche forma di compromesso, anche se per la verità al momento non vi sono molti segnali.
L’ottimismo degli operatori si è manifestato in un recupero dell’azionario US, con l’S&P 500 che, incurante della stecca di Morgan Stanley, è tornato a insidiare la media mobile a 50 giorni. Vedremo se oggi avrà maggior fortuna.
La sostanziale tenuta dell’azionario USA ha aiutato gli indici europei a recuperare, con il risultato che a fine seduta le perdite risultano marginali. Gli asset italiani hanno continuato a godere di domanda robusta, con Piazza Affari che ha tenuto interamente i sontuosi guadagni di ieri, e il BTP che solo in serata ha infine preso fiato, restituendo i bps di contrazione dello spread accumulati oggi, ma mantenendo interamente la performance di ieri. Sul fronte cambi, apatia generale, ad eccezione di un super Pound che si avvantaggia del apparente miglioramento delle prospettive sulla Brexit.