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Nuova involuzione del sentiment a fine settimana.

La risposta alla mia domanda di ieri,  se l’azionario cinese avrebbe preso atto in ritardo del miglioramento nelle prospettive sul trade, è un sonoro NO.
Shanghai ha chiuso con un significativo passivo, segnando i minimi da gennaio 2016 e coronando una settimana che le è costata un -4.5%. Appena meglio le  “H” shares, che hanno evitato di chiudere in negativo, ma il cui risultato settimanale non differisce troppo da quello delle “A” shares.
Tra i motivi per il “flop”,  l’opinione circolante tra gli esperti, rilanciata da  alcuni media, che l’obiettivo della convocazione della delegazione cinese a Washington non sia di riaprire le negoziazioni sul trade, ma di intimare alla Cina di sospendere la svalutazione dello Yuan. Il fatto che la  delegazione incontri il sottosegretario agli affari esteri anzichè qualcuno del  Dipartimento del Commercio confermerebbe questa lettura. Un altra conferma arriverebbe dal fatto che lo yuan ha bruscamente interrotto la  discesa,  inanellando tra ieri e oggi 2 sedute in recupero. Può essere, ma  sia Kudlow che Trump ieri hanno fatto  riferimento all’incontro con toni possibilisti (il  primo ha dichiarato che a volte i risultati dei meeting sorprendono in positivo e il secondo ha detto che non farà  accordi finchè non otterrà una proposta “giusta” per gli USA).
La debolezza  delle “A” shares ha tarpato un po’ le ali al  rimbalzo degli altri indici, impegnati a fattorizzare il recupero del sentiment occorso ieri.

Il moderato ottimismo dell’apertura europea si è rapidamente squagliato a metà mattinata,  complice il nuovo indebolimento della Lira turca. Difficile  dire se sia stato il  cambio a impattare sul  sentiment o vice versa.  Sta  di fatto che in tarda mattinata sono circolate indiscrezioni che la  Turchia aveva offerto la  liberazione del Pastore Brunson in cambio di alcune concessioni, ma  gli USA si sono rifiutati di sottostare alle richieste turche. Successivamente, è giunto il nuovo rigetto formale della richiesta di scarcerazione da parte del  Tribunale .
Così l’azionario europeo ha ripreso la  via del ribasso con le  banche a fare, come di consueto,  da battistrada. Il  ritorno della risk aversion ha ridato supporto alla carta core, e lo  spread è tornato ad ampliarsi. Uniche differenze con le fasi di risk aversion dei giorni scorsi, il Dollaro non ha beneficiato del bad mood, e le commodities industriali hanno sostanzialmente tenuto.
E’ il caso di notare forse che, lontano dai riflettori, puntati su Turchia ed emerging, il CPI Eurozone finale di luglio ha segnato +2.1% massimo da fine 2012. Il  dato  core  è  stato confermato ad un più modesto 1.1%. E’ di pochi giorni fa  la notizia che il  GDP Eurozone nel primo semestre è cresciuto su ritmi annualizzati del 1.7-1.8%. Alla  luce di questi dati, lo 0.3% scarso offerto dal bund sembra davvero lontano da un ipotesi di fair value. Tra l’altro, uno dei principali fattori di quest’allontanamento, il  QE, è in predicato di essere ridotto a ottobre e terminato entro fine 2018. Frizioni sul trade, Turchia, e tensioni sul budget italiano costituiscono gli altri fattori determinati di questa compressione. Miglioramenti su questi fronti dovrebbero produrre un bel repricing.

Nel  pomeriggio in US l’unico appuntamento era con la  U.  of Michigan confidence di agosto,  che ha deluso,  ma  resta  su livelli elevati (95.3 da 97.9 e vs attese per 98). Nulla che potesse distrarre i mercati dal loro malumore.
Così, con l’azionario europeo pesante, i tassi in calo e gli spread in allargamento, siamo giunti fin quasi alla chiusura europea,  quando la  forza  di Wall Street, e una buona dose di ricoperture alla fine di una settimana volatile hanno concesso all’azionario continentale un marcato recupero. Il  rimbalzo ha permesso all’Eurostoxx di limitare i danni e alle banche europee di dimezzare le perdite.  Anche Piazza Affari ne ha beneficiato, cosi come il BTP che ha visto i rendimenti chiudere quasi stabili.
Per incredibile  che possa sembrare, in barba a tutti gli shock,  Wall Street scambia a circa 1% dai massimi storici,  segnati a fine gennaio. L’outperformance nei confronti dell’Eurostoxx ammonta quasi un 4% a 30 giorni e oltre 10% in 3 mesi, un risultato ancora più stupefacente se  si pensa che in questi 2 lassi di tempo il  Dollaro ha recuperato rispettivamente il  2% e il  3% rispetto all’€.
Va osservato però che la  forza dell’S&P trova piena giustificazione nei risultati aziendali. L’ultima earning season ha visto gli utili crescere del 26% rispetto al secondo trimestre del 2017, mentre il fatturato è cresciuto del 10%. Per contro l’ Eurostoxx 50 ha visto un +7.5% di EPS growth e un +2% di fatturato (dati di Bloomberg). Vedremo se l’indebolimento dell’€ e  la tenuta dell’economia permetteranno alle aziende europee di produrre utili  nel terzo trimestre, o se i citati shock ne conterranno gli effetti positivi.