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L’inflazione europea delude nuovamente.

Come atteso,  gli  effetti del  FOMC di ieri sera sui mercati sono stati effimeri. La  debolezza del  $  è  durata meno di un ora, i tassi hanno chiuso sui livelli pre FOMC, e Wall Street  ha ripreso a scendere, trainata al ribasso dai Consumer staples, che non trovano pace da un po’, dal healthcare e dalle telecom.

Tono opaco anche durante la seduta asiatica, con qualche eccezione. L’attenzione resta focalizzata sull’approdo in Cina della  delegazione US, con l’ottimismo che circondava l’incontro  andato via via scemando sotto  i colpi dei media. Bloomberg ha riportato indiscrezioni secondo cui i Cinesi rifiuteranno imposizioni, come un dato livello di sbilancio commerciale, mentre Eurasia sostiene che le relazioni non faranno che peggiorare perchè all’interno della stessa delegazione USA non c’è accordo su cosa chiedere.
Personalmente, sono dell’idea che attendersi particolari passi avanti al primo incontro è ottimistico, e che, in questa fase, temporanee  levate di scudi (sul modello di quelle che si vedono periodicamente tra EU e UK) sono probabili. Più modeste sono le attese, meglio è.
La prospettiva di ulteriori frizioni commerciali ha pesato sull’azionario cinese quotato a Hong Kong e su altri mercati export oriented come Taiwan e Seul. La festività della Golden Week (che prosegue domani) ha evitato a  Tokyo di fare i conti con questo sentiment e soprattutto con il progressivo recupero dello Yen.
Ironicamente, i mercati locali cinesi sono andati in controtendenza, apparentemente trainati dal balzo del settore dei brokers seguito alla prospettiva di una maggiore apertura dei mercati finanziari. Ciò detto, quando si nota questa improvvisa divergenza tra Shanghai, Shenzen e gli altri indici dell’area, in presenza di catalyst negativi,  viene sempre il sospetto che i veicoli statali siano al lavoro dal lato  dell’acquisto.

In questo contesto, l’apertura europea  è  avvenuta con un tono comprensibilmente cauto. Nel breve, la  divergenza con gli indici US è stata marcata, ed è  difficile puntare su ulteriori significativi apprezzamenti senza un arresto della deriva dei mercati US.
Sul  fronte macro,  c’era parecchia attesa per il CPI flash EU di aprile,  e  la  cocente delusione deliverata dal report non ha aiutato un mood già traballante. Il dato headline è calato da 1.3% a 1.2% vs attese di stabilità. Ma è  il dato core, sceso di ben 0.3 a 0.7% vs attese per 0.9%, a costituire la sorpresa più negativa. Probabilmente la Pasqua anticipata,  con l’impatto su alberghi e tariffe aeree, è responsabile di parte del calo. Non a caso sono i prezzi dei servizi, passati da +2.5% a +2%, ad aver gravato sul dato generale. Su queste basi,  si può puntare ad un rimbalzo a maggio. Ma è evidente che il ritorno della core ai livelli di 12 mesi fa costituisce una doccia scozzese per un mercato che settimane fa era disposto a credere ad un interruzione del  QE ECB in autunno.Dati del genere non possono che accentuare la cautela  manifestata da Draghi giovedi scorso.
I rendimenti eurozone hanno mangiato la foglia, e il loro calo progressivo ha minato il  settore bancario europeo, che teme di vedere svanire per l’ennesima volta la  prospettiva  di un irripidimento delle curve dei tassi.

Cielo non troppo limpido anche in US su fronte macro. Le nubi sono costituite dall’  ISM non manufacturing che ha deluso il consenso (56.8 da prec 58.8 e vs attese per 58)  pur restando su livelli coerenti con crescita robusta. Personalmente, non sono troppo preoccupato: il sottoindice dei new orders, il più forward-looking, è salito di mezzo punto al considerevole livello di 60, mentre quello sulla business activity ha perso 1.5 punti ma, a 59.5,  resta storicamente elevato. E’ difficile mettere insieme il calo di 3 punti del sottoindice employment con i sussidi settimanali tornati sui minimi storici, a 211.000. Lo stock di sussidi pagati, a 1.756.000, pari a 1.2% della forza lavoro, ha fatto il minimo assoluto.  Buoni i factory orders di marzo.

Ma il newsflow a prima vista mediocre è andato a  impattare su un sentiment già traballante, e cosi Wall Street è partita nuovamente al ribasso. I media hanno cominciato a traboccare di riferimenti alla media mobile a 200 giorni, lambita dall’S&P 500 gia a febbraio e toccata ancora nelle scorse settimane, ed un nuovo test è diventato inevitabile.
Così, i mercati hanno vissuto una fase di risk aversion con tutti i crismi nel pomeriggio europeo, con l’S&P in calo di oltre un punto e mezzo grazie ad una brusca accelerazione delle vendite sotto la  citata media (oggi area 2615) i tassi in robusto calo su entrambe le sponde dell’oceano, lo yen in robusta domanda. La chiusura negativa dei mercati europei riflette questo stato di cose. Anche in questa fase,  l’azionario continentale ha comunque conservato la tendenza a performare meglio di quello US.

Poco  dopo la  chiusura europera, Wall Street si è  ripresa,  e  ad un paio d’ore dalla chiusura la perdita è divenuta marginale.  La  spiegazione che si sono dati alcuni operatori del miglioramento del  sentiment è  il mancato eruttare di dichiarazioni aggressive dal meeting USA – Cina.
Personalmente,  propendo per una spiegazione più tecnica.  Con la  possibilità di una rottura al  ribasso della media mobile a 200 giorni sbandierata su ogni media, il test del  livello era scontato e la robusta accelerazione dei flussi di vendite da parte dei momentum player ha dato luogo ad altrettanto  precipitose ricoperture.
Naturalmente è presto per considerare chiuso il test,  e  –  per  inciso – il  grafico  dell’S&P 500,  con i rimbalzo sull’area 2600 che perdono intensità,  non ha un aria troppo florida.
Ciò detto, quando un indicatore tecnico diventa troppo di pubblico dominio, come è attualmente per questa media, perde la  sua validità di breve e quindi io come  supporto,  continuerei a focalizzarmi sull’area 2570-2600 che ha contenuto il test nelle 2 precedenti occasioni e lascerei per il momento la MM 200 al suo destino,  senza attribuire troppo significato ad una o più chiusure marginalmente sotto di essa.