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L’ECB mantiene aperta l’opzione di comunicare la fine del QE la prossima settimana.

Se ieri la  responsabilità della debolezza dei BTP era stata  attribuita (pretestuosamente) al  discorso di Conte, oggi ci ha pensato  l’ECB a fornire il catalyst per uno storno che per la verità ha coinvolto con intensità diversa tutti i bonds Eurozone, e influenzato anche il Treasury.

La  seduta era partita con un buon tono, in Asia,  grazie anche ad alcune good news sul  fronte trade. Oltre alle rivelazioni del  WSJ,  illustrate nel lampi di ieri,  abbiamo avuto indiscrezioni raccolte da Reuters,  secondo  le quali l’azienda cinese attiva nella telefonia ZTE,  recentemente ostracizzata dalle  misure di Trump, avrebbe firmato un accordo preliminare che la rimetterebbe in grado di operare.  Secondo Bloomberg, poi,  il Segretario del  Tesoro Mnuchin starebbe cercando di indurre Trump a imporre limiti meno stringenti agli investimenti cinesi negli USA. Oltre a ciò, Mnuchin starebbe facendo pressioni sul Presidente perchè esenti il  Canada dai dazi su acciaio e alluminio.
In verità,  i diretti interessati, ovvero i mercati locali cinesi, sono finiti in coda al  gruppo,  chiudendo pressochè invariati. Un po’ meglio hanno fatto le “H” shares, trainate dai fornitori di ZTE, cosi come Taiwan. Per il resto,  variazioni positive,  ma di  entità  marginale,  ad eccezione di Sydney, supportata  dal GDP del primo trimestre sopra attese, e Mumbai, che ha tenuto nonostante il rialzo dei tassi RBI.

La seduta europea era nuovamente cominciata con un cauto ottimismo, quando è cominciata la  sarabanda  di dichiarazioni dei membri ECB che ha “smontato” i mercati obbligazionarii europei:
** Praet 8.30: “I segnali di convergenza dell’inflazione verso il target si sono rafforzati, l’ECB dovrà valutare la prossima settimana se terminare il  programma di acquisti”.
** Weidmann 9.15: “L’inflazione sta tornando sui livelli compatibili col target, una chiusura del  programma di acquisti entro il 2018 è plausibile”
** Knot 11.10 : “E’ ragionevole attendersi un interruzione del programma in tempi brevi”

Non ci hanno messo molto, gli investitori, a intuire  che stavano assistendo  non ad una serie di dichiarazioni scollegste, ma ad un’ azione concertata per indurre il mercato a scontare la  possibilità  di un annuncio sulla fine del  QE già giovedi prossimo. Un’ azione che era cominciata già ieri, con il circolare delle  indiscrezioni anonime.
Personalmente,  fossi in Draghi, non avrei tutta questa fretta di segnalare la  fine del  QE già  giovedì. L’entità della perdita di momentum dell’economia europea non è  chiara, e la turbolenza osservata sugli asset italiani merita forse un periodo di monitoraggio più lungo, prima  di  essere liquidata come un episodio.  Anche perchè,  a mio modo di vedere, il  rischio elezioni resta elevato. Su queste basi,  attendere 6 settimane in più, affidando la  decisione al meeting del 26  luglio, mi sembrerebbe appropriato.
Ciò detto, è anche vero che con le comunicazioni odierne, l’ECB sta solo garantendosi l’opzione di utilizzare il prossimo meeting,  in cui potrà argomentare la  decisione facendo  uso delle nuove projections. Nessuna decisione è ancora presa e Draghi e C potrebbero rinviare la  decisione ulteriormente se lo ritengono opportuno. Vedremo.

Tornando ai mercati, la  reazione è stata quanto mai coerente. I rendimenti tedeschi hanno preso saldamente la  via del  rialzo, trainandosi dietro l’intero complesso dei tassi Eurozone. E i BTP, che già avevano il fiato corto, hanno ceduto più del resto,  mostrando a tratti allargamenti dello spread dell’ordine  di 15 bps sul  10 anni, e 40 bps sul 2 anni.
Intuibile  la  reazione dell’€, che ha recuperato  terreno vigorosamente.
La nuova fiammata sullo spread ha rimesso pressione alle banche italiane, che hanno zavorrato Piazza Affari. Ma la cosa strana è stata la reazione negativa delle banche europee alla prospettiva di una fine anticipata (almeno rispetto a quanto prezzato recentemente dal  mercato)  del QE,  e conseguente anticipo del primo rialzo dei tassi (che la recente turbolenza aveva indotto le  curve monetarie a rinviare al 2020).
Infastidito dalla volatilità  su rendimenti e spreads, e depresso dalla forza dell’€, l’azionario continentale ha ceduto le  armi nel  primo pomeriggio, prendendo la via del ribasso. Il bad mood è durato un paio d’ore, e  poi, apparentemente, le  banche europee si sono ricordate che il  rialzo dei rendimenti è un fattore positivo  per il business, e, ad un ora dalla chiusura, hanno bruscamente invertito la marcia, aiutate anche da ricoperture sul massacrato settore bancario italiano.
La chiusura europea vede i principali indici in moderato progresso, con l’eccezione di Parigi, in marginale rosso. Il saldo sullo spread resta negativo (+5 bp sul  10 anni e +29 sul 2  anni) ma i rialzi generalizzati dei rendimenti tedeschi ne hanno ridotto la  portata rispetto ai momenti peggiori della seduta. E Wall Street,  sgravata del freno dell’azionario europeo e favorita  dal  ritracciamento del  $, continua a salire, trainata dalle big caps del Dow, mentre il Nasdaq, dopo la chiusura di ieri al nuovo massimo storico, si prende una pausa. I rendimenti dei treasuryes salgono in simpatia con quelli europei, e il 10  anni torna in vista del 3%.

Sul fronte tecnico, superate le secche di 2740, la  prossima resistenza per l’S&P 500 sembra 2800, massimo di marzo, mentre il target tecnico per  l’uscita dal consolidamento sarebbe 2820.