Si chiude anche ottobre, un mese rivelatosi galantuomo con un buon numero di assets.
Dei 40 indici azionari che monitoro, solo 2 mostrano performance negative sui 30 giorni (Russia e Messico), mentre oltre 25 sono saliti più del 2%. Il Dollaro, grande malato del 2017, ha recuperato l’1.5% circa, e tra le commodities, basti dire che il paniere CRB ha guadagnato oltre il 2% e il Petrolio quasi il 5%.
Non che i bonds abbiano sofferto granchè di questo clima positivo. A conti fatti (per i gli asset le cui contrattazioni non sono ancora terminate, tra cui il grosso dei bonds, pende la chiusura di stasera) il rendimento del 10 anni US è salito nel mese di appena una manciata di Bps (dal 2.33% al 2.37% attuale), mentre il bund ha performato bene (10 bp di calo a 0.36%), per il BTP il calo è addirittura di 30 bpo (1.83%), Bonos -15bp (1.45%), Portogallo -30bp (per quanto la compressione degli spread sia coerente con una fase di risk appetite).
Il credito poi, è oggetto di un mega squeeze, con un collasso degli spreads negli ultimi giorni, specie sulla carta finanziaria subordinata.
La matrice del movimento resta più che mai quella che ha caratterizzato questo 2017:
** Crescita robusta in praticamente tutti i blocchi geografici (ora anche gli USA, che nella prima metà del 2017 arrancavano, hanno accelerato)
** assenza di pressioni inflattive (solo in USA si notano i primi segnali, e infatti in autunno i rendimenti dei bonds hanno reagito),
** e una liquidità oceanica, resa impavida e spavalda dall’assenza di volatilità negli asset, che cerca freneticamente un allocazione.
Messa in questi termini, non sembra che le cose possano cambiare a breve. Le earning season proseguono bene, con i profitti che sembrano impermeabili ai focolai politici e di altro genere. I dati macro si mantengono su livelli elevati, con il testimone sulle sorprese positive passato dall’Europa agli USA e in Asia dalla Cina alle economie limitrofe (Sud Korea, Tailandia e Giappone).
Qua e la compare qualche nota stonata.
Ad esempio le commodities sono sui massimi di periodo, eppure le divise ad esse più correlate ($ australiano e Corona norvegese) hanno fatto malissimo. E, nonostante i record, i livelli di partecipazione sono sempre più bassi: ieri il Nasdaq 100 ha fatto i massimi, ma meno del 35% dei titoli ha mostrato performance positiva, segno che sono poche blue chips a trainare l’indice.
Ma per ora si tratta di qualche indizio, per lo più del tipo che finora è stato meglio ignorare.
Come osservato venerdi, le iniezioni di liquidità sono destinate a subire una nuova rilevante decurtazione a gennaio, quando l’ECB ridurrà gli acquisti di 30 bln al mese e la FED ridurrà il reinvestimento dei proventi del suo portafoglio di altri 10 bln $. Ma il mercato guarda con fiducia a quest’evento, avendo digerito senza problemi i primi 10 bln di balance sheet reduction Fed a ottobre e il primo taglio di 20 bln del QE ECB a marzo. Io sono un po’ meno fiducioso, anche perchè nel frattempo i Fed Funds saranno saliti di altri 25 bps a dicembre.
Ciò detto, la vera minaccia per l’offerta di liquidità, nel breve, è un aumento della volatilità, che alimenti qualche deleverage protettivo delle performance (in pratica un var shock). Al momento sembra difficile immaginare un catalyst capace di scuotere la confidence, ma entriamo in un periodo dell’anno in cui tipicamente gli investitori diventano più prudenti, disponendo di poco tempo per recuperare eventuali incidenti (E’ vero che al momento sembrano più preoccupati di rincorrere gli asset).
Venendo ad oggi, la seduta asiatica ha avuto ancora un tono contrastato. I rendimenti in Cina hanno ritracciato, ma i PMI ufficiali di ottobre hanno mostrato un significativo calo sia sul manifatturiero (51.6 da 52.4) che sui servizi (54.3 da 55.4) offrendo un qualche supporto alla view che, a Plenum concluso, l’interesse delle autorità a sostenere il ciclo sia in calo, almeno per qualche tempo. Vedremo nei prossimi giorni che segnali daranno i PMI Markit, che già avevano mostrato rallentamento a settembre.
Le delusioni macro cinesi hanno bagnato un po’ le polveri all’intera area, nonostante altri paesi abbiamo dato indicazioni migliori (vedi produzione industriale Sudcoreana di settembre il doppio delle attese a+8% anno su anno, e GDP taiwanese del terzo trimestre un punto sopra attese).
Il meeting della Bank of Japan non ha prodotto alcuna modifica della stance ed è stato archiviato senza scosse.
La seduta europea è partita a scartamento ridotto per la festività in Germania. L’attività limitata non ha impedito agli indici di intraprendere la via del rialzo, favoriti ancora una volta da buone release macro, tra cui spicca il GDP Eurozone del terzo trimestre (+0.6% vs atetse per 0.5% e da un secondo trimestre rivisto da +0.6% a +0.7%.
Tutt’altra musica sul fronte inflattivo, dove il CPI flash di ottobre Eurozone ha deluso su tutta la linea (1.4% headline in calo di 0.1% vs 1.5% atteso, addirittura 1.1% il core, vs attese di stabilità a 1.3%). Visto il rally dell€ negli ultimi 2 trimestrim forse non c’è da essere cosi sorpresi. Una volta di più l’atteggiamento prudente di Draghi e C. è sembrato giustificato dai fatti.
Dati a parte, il sentiment ha sicuramente beneficiato del collasso delle tensioni in Catalonia. Il take over delle istituzioni è avvenuto senza problemi, e i partiti indipendentisti hanno deciso di correre alle elezioni indette da Rajoy, per il 21 dicembre, accettando implicitamente l’attivazione dell’articolo 55. I sondaggi sono bilanciati al momento, e Puigdemont è praticamente fuggito in Belgio con alcuni compagni, da dove forse mira a formare un governo catalano fantasma, ma più probabilmente ambisce allo status di esiliato politico di lusso. Diciamo che ora la sua strategia mi pare più chiara, ma non credo proprio che porterà la Catalonia all’indipendenza.
Nel pomeriggio, altra messe di dati super in US, tra cui spicca una consumer confidence di ottobre (125.9 da prec 120.6 e vs attese per 121.5) ai massimi dal dicembre 2000.
Nei dettagli si fa notare la percezione estremamente positiva del mercato del lavoro US da parte dei consumatori, e il balzo delle intenzioni di acquisto di casa.
Non c’è molto da dire: l’accelerazione ciclica è pienamente avvertita dalla popolazione, sebbene si noti una divergenza tra le diverse categorie (chi è sotto una certa soglia di reddito è meno euforico). Assai buono anche il Chicago PMI, ed in linea con le attese l’employment cost index del terzo trimestre (ma se le cose continuano così il costo del lavoro salirà).
L’unica cosa sorprendente è che in un contesto cosi favorevole, il rate approval di Trump stia approcciando i minimi (sotto il grafico di Fivethirghtyeight, mentre gallup lo colloca a 35).
Wall Street non si è fatta troppo impressionare dai dati, e oscilla poco sopra la parità in un trading quieto. Apparentemente invariato anche il dollaro, sebbene nei cross si noti la correzione dello yen e la forza della Sterlina, agitata dal meeting BOE di Giovedi.
Moderati progressi per gli indici europei (Madrid continua il catch up) mentre il CPI basso ha offerto supporto ai rendimenti sulla parte lunga delle curve.