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Il compromesso tra Repubblicani e Democratici sul muro resta lontano.

Ieri sera, le minute FOMC hanno validato la recente “svolta moderata” alla FED emersa nei discorsi successivi al FOMC. Tra i principali messaggi, abbiamo che la Fed può permettersi di essere paziente, e che i recenti sviluppi, volatilità sui mercati compresa, rendono meno ovvio il percorso sui tassi. Apparentemente, alcuni membri avrebbero addirittura preferito lasciare i tassi invariati a dicembre.
Quanta della recente volatilità avrebbe potuto essere evitata, se Powell avesse adottato da subito questa stance? A mio parere, poca. In realtà il messaggio è cambiato più nella forma che nella sostanza, e personalmente resto dell’idea che la Fed è stata più una scusa che il vero motivo della correzione. Inoltre, la differenza più marcata tra il Powell del 19 dicembre e quello attuale è nella considerazione data alla price action, e questa modifica è stata appunto causata dai livelli estremi di volatilità osservati a fine anno. Resto convinto che i mercati entrano sempre nelle funzioni di reazione delle Banche Centrali (e dei governi, come si è visto di recente anche in Italia).

Dopo che la nuova stance era stata ripetutamente illustrata da Powell, Clarida e C. nelle ultime 2 settimane, c’è poco da stupirsi che la sua ratifica da parte delle minute (che mai come questa volta mostrano i segni di una rielaborazione successiva) abbia fornito il catalyst per un po’ di prese di beneficio, del tipo “sell thje news”.
Apparentemente, l’assestamento è stato favorito anche da reports di un brusco abbandono da parte di Trump di un meeting con i leaders del Congresso, definito dal Presidente “una totale perdita di tempo”. Richiamando il concetto espresso sopra, finche’ i mercati continuano, come nelle ultime 2 settimane, a ignorare lo shotdown, e improbabile che la Casa Bianca avverta un incentivo sufficiente a terminare (mi si conceda il gioco di parole) il “muro contro muro” coi Democratici sul muro al confine col Messico. Dovesse infine la vicenda cominciare a impattare, le parti potrebbero subire maggiori pressioni a cercare un compromesso. Questo è sicuramente un caveat per l’attuale recupero del sentiment, anche se non eccessivo per il fatto che un eventuale episodio di volatilità connesso con lo shutdown tende a porre i presupposti per uno sblocco della situazione.
In generale, nel giudicare l’attuale fase, bisogna tener conto che veniamo da 4 sedute di rialzo a fila in US, e stiamo approcciando un livello tecnico rilevante (vedi lampi di ieri). Qualsiasi scusa va bene per qualche presa di beneficio.

Sul fronte trade, le dichiarazioni delle parti interessante sono risultate interlocutorie, come si addice ad un meeting di sherpa. La parte americana ha aggiunto qualche notazione agrodolce, sulla necessità di imporre alla Cina il rispetto delle promesse. Quella cinese ha dichiarato che entrambi dovrebbero mantenere le promesse, ma ha lodato i progressi e definito le trattative “serie e oneste”. In ogni caso anche qui il mercato aveva metabolizzato in anticipo i toni costruttivi, e l’impatto positivo, se vi è stato, è stato assorbito dai brutti dati cinesi sui prezzi di dicembre (CPI e PPI in copioso rallentamento, in particolare il secondo), a confermare una congiuntura decisamente poco brillante. Personalmente vi leggo, come al solito, un via libera alla PBOC a fare ulteriore easing.

Così, la seduta asiatica ha avuto un tono consolidativo, con Tokyo in calo (solita reazione istintiva alla debolezza del $) e il resto degli indici compresi tra il +0.35% dello HSCEI (“H” shares cinesi) e il -0.3% di Mumbai.

Anche la seduta Eurozone è partita con un moderato ribasso, in linea col sentiment asiatico e con i future sull’azionario USA. Il tono interlocutorio si è notato distintamente anche sui mercati obbligazionari e sui cambi.
In UK, le retail sales di dicembre hanno deluso, a dimostrazione che il caos politico sta pesando sulla consumer confidence. Dopo le 2 sconfitte incassate dalla May sugli emendamenti, sembra evidente che il Parlamento UK sta prendendo il sopravvento sul Governo, il che riduce sempre di più la possibilità di una “no deal brexit” e con essa il potere delle minacce della May per far approvare il suo piano. Si va sempre di più verso una proroga dell’articolo 50 per permettere ulteriori negoziazioni, con sullo sfondo il rischio elezioni/nuovo referendum. Tutto ciò dovrebbe offrire supporto alla sterlina, ma vi sono 2 aspetti che ne sospendono gli effetti: i) ai mercati non piace l’incertezza, e ii) non piace l’effetto che queste vicende stanno avendo di recente sull’economia inglese.
Le minute ECB, pubblicate a metà seduta, non avevano alcuna nuova stance da confermare, e quindi il loro impatto è stato modesto, al di la di un moderato calo dell’€, più di natura fisiologica che altro. Nel primo pomeriggio, i jobless claims settimanali USA sono tornati a scendere. I discorsi dei membri FED più rilevanti, ovvero Powell, e Clarida, sono previsti alle 19.45 e alle 00.30 italiane, ma comunque dubito usciranno novità significative rispetto alle minute e alla batteria di speakers che abbiamo avuto negli ultimi giorni.
Sul fronte di Washington, le ultime indiscrezioni recitano che Trump starebbe riconsiderando di ottenere il funding per il muro, facendo ricorso alla dichiarazione di emergenza. Con 800.000 impiegati federali da pagare domani, la cosa viene vista con maggior favore dai mercato, nel senso che permetterebbe a Trump di sospendere lo shutdown salvando la faccia, e sarebbe immediatamente impugnata dai Democratici per una sorta di conflitto di attribuzione, evolvendosi in una nuova impasse, ma eventualmente a Governo aperto.
Su queste basi, Wall Street ha recuperato terreno insieme al $, e le chiusure europee sono avvenute in positivo (tranne Parigi). Vedremo se Wall Street stasera riuscirà a suonare la quinta. In lieve calo i tassi tedeschi mentre il BTP va incontro alle aste di domani (e all’eventuale 15 anni sindacato) con lo spread in moderato allargamento.
Domani chiudiamo la settimana con il CPI USA di dicembre, che dovrebbe uscire in moderazione, confermando che la FED può dimostrarsi “paziente”.