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Il colpo di scena sul deficit italiano causa uno shock ai mercati europei

Come commentatore politico, devo ancora perfezionarmi.  Avevo  ipotizzato che sul deficit saremmo arrivati ad un compromesso, o altrimenti Tria si sarebbe dimesso. Ebbene, Di Maio e Salvini hanno avuto il  loro 2.4% di deficit, e Tria è (per il momento) ancora al suo posto.
Se non altro,  la  reazione del mercato mostra che non sono proprio l’unico ad essermi sorpreso.

In effetti, questi 3/4 decimali in più, sul livello che Europa, e presumibilmente il mercato, erano disposti a tollerare (2%), costituiscono una vittoria per i leader per l’esecutivo, che viene però ad un prezzo assai elevato:
1) la  demolizione della credibilità del  Ministro delle  Finanze, finora garante di fronte agli investitori della responsabilità fiscale del Governo. Tria, in risposta ad una specifica richiesta del Capo  dello Stato, non si è  dimesso. Ma, d’ora in avanti, sarà impossibile attribuire alla sua voce il peso avuto  finora nel contrastare l’indole disinvolta in tema  di finanza pubblica della Coalizione Gialloverde. E il  Ministro potrebbe cambiare idea.
2) l’interruzione di un trend virtuoso per le finanze pubbliche.  Il 2019 sarà  il primo anno dal 2009 in cui il deficit salirà )tranne un +0.1 nel 2014). Inoltre, per ipotizzare un debito/pil in calo, servono ipotesi abbastanza robuste sul contributo della manovra sul pil. E vi è una rilevante incognita: l’impatto  dello spread  sulla  spesa  per interessi, e su investimenti e ciclo.
3) Il serio rischio di un downgrade da parte delle Agenzie di rating, la quasi certezza di un rigetto della manovra da parte di Bruxelles, e lo  spettro della  procedura di infrazione in primavera.

Un bel po’ di conseguenze, per uno 0.3% in più che sicuramente da margine di manovra, e permette di mettere mano a tutti i capitoli del programma, ma non rivoluziona certo il  quadro. E i cui benefici economici rischiano di essere più che bilanciati dagli effetti dei punti sopracitati.

Venendo alla reazione dei mercati, ironicamente, l’Asia non si è fatta minimamente influenzare dalle news italiane. L’azionario cinese ha chiuso in positivo, eventualmente supportato dalla notizia che anche FTSE Russel vuole  inserire le “A” shares nei suoi indici. Inoltre,  i mercati guardano speranzosi ai PMI in uscita domenica, a mercati chiusi, con l’idea che un po’ dello stimolo erogato possa  far capolino nei dati.  Infine, forse la chiusura del trimestre ha prodotto  qualche ulteriore ricopertura. Tokyo continua a fare un campionato a se in Asia, e il  Nikkei oggi ha chiuso a 0.15% dal segnare il massimo da 27 anni. Sul  fronte macro, ad agosto disoccupazione in calo, produzione industriale in rialzo ma sotto attese (+0.6% vs +1.4% atteso), mentre le  retail sales hanno battuto un consenso che già  le vedeva accelerare parecchio (+0.9% vs 0.5% atteso). In generale buone notizie.

Le cose hanno  cominciato a cambiare significativamente alle 8 italiane quando, fin dall’apertura, le vendite hanno cominciato a colpire i future sul BTP con violenza. Discorso analogo per il FTSE Mib, che ha aperto in gap del  2%. In sofferenza le banche italiane, con evidente contagio a quelle europee. Il resto  degli indici europei inizialmente si è limitato a  partecipare con compostezza, mostrando perdite di frazione di punto,  in attesa degli eventi. Ma quando, in tarda mattinata la price action  sullo  spread a cominciato  ad assumere i contorni di una disfatta (+45 bps) e Il  fuoco su Piazza Affari si è intensificato, anche gli indici generali hanno ceduto, accumulando perdite a tratti intorno ai 2 punti percentuali. Devastato il settore bancario italiano, con l’indice settoriale giunto a perdere l’8%. La fuga dagli asset europei si è riflessa anche sull’€ giunto a tratti ben sotto la soglia di 1.16 vs $.
Sul fronte macro, delusione per il CPI flash Eurozone di settembre, in linea con le stime nonostante la sorpresa tedesca di ieri e con la core a 0.9% vs attese per 1.1%. Il report ha offerto ulteriore supporto al bund, accentuando la tendenza ad allargare dello spread.

Il quadro ha visto un moderato miglioramento nel pomeriggio, quando:
** si è capito che Wall Street sarebbe restata isolata dalla volatilità europea. L’ S&P 500 ha aperto in marginale ribasso, ma si è successivamente issato sopra la parità mostrando una sorprendente indifferenza per i destini europei. In generale, si può dire che la volatilità è rimasta concentrata in Europa, un fenomeno insolito per un episodio di quest’entità, e un segnale moderatamente confortante.
** Sono subentrate anche qui un po’ di ricoperture da fine trimestre, che hanno condotto l BTP e l’azionario italiano a chiusure, seppure pesantissime, ad una certa qual distanza dai minimi.

Moderato recupero anche per gli altri indici azionari continentali, e per la divisa unica riportatasi sopra 1.16 vs $ nel finale di seduta europea. Ma le chiusure restano in profondo e le banche hanno visto sollievo davvero marginale. Modesta, la partecipazione degli altri periferici alle sofferenze della carta italiana, anche se la forza del bund ha portato ad allargamento di spread più o meno ovunque.

Prospetticamente, è difficile essere costruttivi sugli asset italiani, nel breve. Lunedi si apre l’ultimo trimestre dell’anno, e la fragilità della carta italiana costituirà una tentazione per gli operatori che si apprestano a riaprire i book.
La discussione della manovra non arriverà in aula prima del 10 ottobre, e la presentazione alla Commissione UE non avverrà prima del 15. Difficile che cambi qualcosa nel breve, anche perchè lo spread, pur con il brusco allargamento odierno, è tornato si e no sui livelli di agosto.
In altre parole, perchè il quadro cambi, occorre un marcato deterioramento delle condizioni di mercato, che metta pressione al Governo e restituisca a Tria e alle altre istituzioni (il Quirinale?) il potere di deviare la traiettoria fiscale.
In mancanza, la possibilità di una stabilizzazione significativa e duratura (non una pausa di pochi giorni) è demandata alla capacità di Conte e dei Vicepremier di convincere EU, Agenzie di rating e mercati che l’effetto espansivo delle misure e sufficiente a bilanciare l’aumento del deficit, e l’impatto su investimenti e congiuntura di spread e incertezza. Difficile, a mio modo di vedere. L’impressione è che le prossime settimane potrebbero vedere lo spread approcciare l’area 300. Ciò manterrà sotto pressione l’azionario nazionale e le banche, anche se sui livelli attuali queste ultime scontano uno scenario abbastanza negativo. Le nove tensioni italiane si aggiungono alla Brexit e alle frizioni commerciali nel frenare un azionario europeo che sembrava ben impostato di recente, ed intento a prezzare uno scenario macro e sui profitti in miglioramento. Resto convinto che vi sia valore, ma difficile vedere performance nel breve se la volatilità sull’Italia continua.