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Delusione dai PMI cinesi, sopresa dal Pil USA del quarto trimestre. Mercati Eurozone a nuovi massimi

Nulla da fare. L’S&P continua a picchiare contro la resistenza in area 2.800, senza sfondarla, ma nemmeno venendone respinto clamorosamente. Anche ieri, dopo tutto il clamore (più mediatico che altro) suscitato dalle dichiarazioni di Lighthizer, l’S&P ha chiuso in calo di appena 0.05%. un discreto segnale di forza, che sembrerebbe indicate che grosse correzioni sono comunque improbabili.
La seduta asiatica ha però dovuto fare i conti con i PMI ufficiali cinesi di Febbraio, francamente deludenti. Onestamente, visti il rimbalzo degli aggregati monetari e di credito di gennaio, il recupero di alcune commodities e la ventata di euforia sui mercati locali, si pensava che le survey di attività potessero mostrare qualche segnale incoraggiante (o almeno io lo pensavo, il consenso si attendeva stabilità). Invece il manifatturiero ha corretto ulteriormente (49.2 da prec 49.5 e vs attese per 49.4) segnando il minimo da febbraio 2016. I dettagli sono un po’ più incoraggianti, in quanto il calo si materializza nella production (-1.4 a 49.5) mentre i new orders salgono di 1 punto a 50.6, sopra la soglia di espansione. Debolissimi gli export orders (-1.7 a 45.2) segnale che a puntellare gli ordinativi sul manifatturiero è stata la domanda interna. Altri dettagli indicano un rimbalzo dell’attività delle grandi aziende, mentre quelle medio-piccole continuano a mostrare deterioramento, nonostante gli sforzi delle autorità per aiutarle.
il PMI non manifatturiero ha a sua volta mostrato un modesto deterioramento, anche se resta su livelli buoni (54.3 da 54.7 e vs attese per 54.5).
Trattandosi di dati dell’ufficio statistico nazionale, non sai mai quanto siano affidabili e quanto costituiscano invece un messaggio. Domani, con l’uscita del PMI Markit manifatturiero, più incentrato su aziende private di medie dimensioni e quindi più volatile, avremo una controprova. Ma certo, oggi il messaggio ha offerto davvero poco supporto alla teoria di reflazione cinese che porto avanti da un po’.
Sul fronte geopolitico, il meeting Kim-Trump, partito sotto i migliori auspici, si è interrotto anzitempo, senza la firma di alcun accordo. Apparentemente, Trump lo ha abbandonato quando Kim ha rifiutato ulteriori denuclearizzazioni e richiesto invece l’eliminazione delle sanzioni. Se non altro, non è partita la solita salva di dichiarazioni bellicose da entrambe le parti. L’impatto è stato avvertito soprattutto dalla piazza di Seul.
Considerando che Trump ieri si era espresso molto costruttivamente (“grandi progressi, il meeting va verso un grande successo”), le implicazioni per un accordo tra Cina e USA non sono molto simpatiche, visto che l’ottimismo si basa su dichiarazioni del medesimo tono da parte del Presidente USA soprattutto.
Aggiungiamoci gli orrendi dati giapponesi (produzione industriale Gennaio -3.7%, retail sales -2.3%) e le condizioni per un altra seduta asiatica consolidativa c’erano tutte.
I principali indici hanno mostrato tutti perdite con l’esclusione di Sydney e, ironicamente il Chinext (le small caps cinesi) che è salito dell’1%. Il mistero si infittisce.
Tra l’altro, oggi doveva essere in teoria il giorno in cui Morgan Stanley decideva se aumentare di parecchio il peso delle “A” shares nei suoi indici internazionali. L’effetto dell’inclusione sarebbe di quadruplicare il peso (da 0.7% a 2.8) aprendo a flussi in entrata dai prodotti indicizzati di decine di miliardi, secondo alcuni calcoli. L’ientrata dovrebbe avvenire gradualmente a maggio e agosto. Ma finora non mi è giunta alcuna indicazione ne in un senso ne nell’altro. Un rinvio potrebbe coastituire un catalyst negativo per Shanghai. Aspettiamo.

Con queste premesse, l’apertura europea è avvenuta in moderato calo. In tempi piuttosto brevi si è però capito che i driver del recupero di ieri, vale a dire la forza del settore bancario europeo e di Piazza Affari, non  si erano ancora esauriti.
Entrambi hanno cominciato a riprendersi, poco dopo l’apertura offrendo supporto  all’indice generale.
Sul fronte Brexit, ieri sera è andato tutto come da copione. L’emendamento dei laburisti è stato affossato, il che dovrebbe indurli a proporre un nuovo referendum, che però non è comunque l’opzione centrale per mancanza di una maggioranzain questa direzione. Per contro il Cooper/Letwin è passato a larga maggioranza, il che non impatta granchè perchè la May aveva già indicato intenzione di promuovere un voto sulla NO DEAL Brexit il 13 Marzo, in caso l’accordo modificato fosse fallito in Parlamento il 12, e un voto sull’estensione dell’articolo 50 il 14 marzo. L’uscita senza accordo è sempre più improbabile, ma era abbastanza scontato e gli effetti sul cambio sono stati modesti.
Così abbiamo approcciato metà seduta con l’azionario continentale in recupero, le banche a trainare, l’€ in moderato guadagno e i tassi tedeschi stabili, mentre il BTP ha recuperato qualcosa delle perdite di ieri.

Il pomeriggio vedeva la pubblicazione di importanti dati macro in US.
** la prima stima del GDP del quarto trimestre 2018 ha sorpreso di parecchio in positivo (2.6% da prec 3.4% e vs attese per 2.2%). Tra i fattori positivi i consumi, e gli investimenti, mentre il canale estero ha sottratto meno delle attese. Comprensibilmente debole la spesa pubblica, gravata dallo shutdown a fine trimestre. Anche le scorte hanno contribuito al buon dato, il che può pesare sul primo trimestre 2019. Ma, in generale, i ritmi di consumi e investimenti indicano una fase di rallentamento inferiore a quanto temuto. Anche i dati sui prezzi sono usciti migliori delle attese.
** Il Chicago PMI, che a gennaio aveva corretto alimentando qualche preoccupazione, è rimbalzato violentemente (64.7 da prec 56.7 e vs attese per 57.5) segnando i massimi da un anno. Meno brillante il Kansas City Fed a 1 da 5 e vs attese per 6. Vedremo domani l’ISM manufacturing che dirà, ma uno sguardo alle survey regionali lo colloca ai livelli di gennaio o poco sopra.

La forza sui dati USA ha sovvertito le dinamiche sul cambio, e impresso ai tassi una nuova spinta rialzista sulle 2 sponde dell’oceano. L’azionario europeo, già in positivo, ha avvertito la forza dell’economia USA e l’effetto indebolimento dell’€. Wall Street ha stentato di più, in parte per l’effetto sulle attese di politica monetaria Fed, un po’ per il più volte citato contatto con la resistenza a 2.800 punti. Naturalmente gli emergenti hanno accusato il moderato rimbalzo del $. In questi giorni la correlazione inversa tra MSCI Emerging e biglietto verde lavora molto bene.
Sul fronte geopolitico, qualche segnale distensivo tra India e Pakistan, con il secondo disponibile a restituire domani il pilota fatto prigioniero ieri in seguito all’abbattimento.
Su queste basi le chiusure europee sono positive, con l’Eurostoxx a contatto con il livello di 3.300 visto l’ultima volta a metà ottobre. Decisamente positiva anche la performance di Milano che, con oggi, chiude sopra la resistenza a 20.300 punti, e sopra la media mobile a 200 giorni, dando un altro buon segnale tecnico.
In generale, l’impressione è che il tono di fondo del mercato resti buono. Il consolidamento in regime di bassa volatilità dell’azionario USA sta permettendo all’Europa di fare un po’ di catch up e scaricare un po’ di pessimismo in eccesso, come si nota dalla buona performance dei settori e indici più depressi, e meno presenti nei portafogli (Banche europee e Italia).
Al momento, a mio modo di vedere, lo scenario più probabile per l’S&P resta una fase correttiva fino a 2700 o poco sopra, seguita da un nuovo assalto al livello di 2800. Ma se l’attuale consolidamento laterale continua a sufficienza da scaricare l’ipercomprato di breve, potremmo avere anche un breakout senza correzione.


Intanto, vediamo cosa ci dicono domani nell’ordine il PMI Markit manifatturiero cinese, le retail sales tedesche di gennaio, le revisioni dei PMI manifatturieri europei, e l’ISM Manufacturing.