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Continua lo Shutdown USA. Probabile sconfitta della May al voto di domani sulla Brexit.

La settimana è iniziata con un tono opaco sui mercati.
Intanto, lo shutdown USA continua. La Casa Bianca sembra aver per il momento accantonato la possibilità di finanziare il muro dichiarando un emergenza,  per la convinzione che l’immediata impugnazione da parte dei Democratici fermerebbe comunque la costruzione. Con 24 giorni di durata, siamo già al più lungo shutdown della storia. Tra le conseguenze, vi è che alcuni dati macro elaborati dagli uffici pubblici non verranno pubblicati. inconveniente che, se protratto, aumenterà l’incertezza sulla direzione del ciclo USA, proprio in un momento in cui la FED si è dichiarata “data dependant”. Tra l’altro, dopodomani dovevano uscire le retail sales di Dicembre. Finchè il mercato continua a farci poco caso, è difficile che le parti sentano pressione ad arrivare ad una soluzione. Una sorta di “catch 22” per Trump ( il catch 22 è un mitologico comma dell’regolamento dell’esercito descritto nell’ omonimo romanzo anti bellico, secondo cui «Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo.»).
Dovesse la pressione dei mercati, o quella politica dei moderati di entrambi gli schieramenti
raggiungere un livello sufficiente a riportare le parti al tavolo, una soluzione potrebbe essere costituita dal baratto di concessioni sul fronte immigrazione da parte di Trump con aumento della quota di finanziameto del muro. Vedremo.

Un’altra tegola per il sentiment è stata la pubblicazione dell trade balance cinese di dicembre,  uscito peggio delle attese, con sia le importazioni che le esportazioni in contrazione anno su anno (rispettivamente -7.6% e -4.4%). Nei dati è evidente l’impatto dei dazi, con le esportazioni verso gli USA in marcato calo, mentre quelle verso gli emergenti hanno tenuto. Sia Dicembre che novembre mostrano tracce della decisione degli operatori di anticipare gli acquisti, per evitare l’aumento delle tariffe autunnale e quello, per ora scongiurato, di gennaio. E’ possibile che nei prossimi mesi quest’effetto si attenui, vista l’aggressività con cui è stato portato avanti a fine 2018. In ogni caso il messaggio non è entusiasmante, e il Presidente Xi ha rincarato la dose in giornata (*PREMIER LI SAYS CHINA ECONOMY DOWNWARD PRESSURE RISES:: CCTV).
Così, la pressione si è estesa dai mercati cinesi a tutti gli altri indici, tranne Tokyo, chiusa per festività.

L’apertura europea ha ricalcato questo sentiment, mutuato anche dalla pesantezza dei future sugli indici azionari USA.
La notizia della lettera ECB al Monte dei Paschi (inviata il 5 dicembre) in cui gli si chiedeva, tra l’altro, di fare maggiori accantonamenti nei prossimi anni a copertura dei crediti deteriorati, ha messo pressione, oltre all’interessata, all’intero settore, il che non ha certo aiutato Piazza Affari a sovraperformare le altre piazze. Tra l’altro la vicenda Carige resta in alto mare per ora.

Alle 11, la consueta stecca macro europea. La produzione industriale a novembre è calata in Eurozone dell’1.7%. Il dato era stato anticipato dalle rilevazioni dei vari stati, e comunque si sapeva che a novembre le cose andavano male nel continente. Certo, il dato, per scontato che sia, ricorda a tutti che l’economia europea oscilla sull’orlo dello stallo nel quarto trimestre del 2018, con molto probabilmente l’Italia, ed eventualmente anche la Germania, in recessione tecnica. Personalmente, presterò molta più attenzione ai PMI flash, in uscita tra 10 giorni (il 24 gennaio).

Sul fronte brexit, come era prevedibile, alla vigilia del voto, stiamo sfiorando il surreale. La May fino a ieri aveva invitato i Parlamentari a votare l’accordo per evitare una “no deal brexit”. Oggi, tenendo un discorso in un piccolo centro il cui il “leave” ha vinto con grosso margine, ha dichiarato che se l’accordo non viene votato, il rischio è che la brexit non avverrà affatto, il che costituisce una chiara violazione del volere democratico degli elettori. Viva la coerenza. Ma, se non altro, questa posizione mi convince più della precedente.
La verità è che, nonostante una manciata di ripensamenti dell’ultimo minuto, l’unico vero dubbio è il margine col quale l’accordo verrà bocciato domani. Nel frattempo, l’EU sembra apparentemente disposta a concedere all’UK un estensione dell’articolo 50 fino a dopo le elezioni europee. Evidente, da parte di Bruxelles, l’intenzione di lasciare tutto il tempo possibile agli inglesi per metabolizzare le difficoltà di un uscita. Non a caso, le indiscrezioni raccolte dal Guardian rivelano che l’EU potrebbe estendere ulteriormente la deadline, in caso di nuove elezioni o referendum. D’altronde l’Eurozone ha tutto da guadagnare, sia economicamente che politicamente, da una “no brexit”.
Dando per certo che l’accordo verrà rigettato domani, una sconfitta di entità elevata (150/200 voti) potrebbe indurre la May alle dimissioni, una situazione che può evolvere nella ricerca di un nuovo leader conservatore che riprenda in mano il progetto, oppure in nuove elezioni. Viceversa se la May resiste (il che vuol dire che anche la probabile mozione di sfiducia di Corbyn fallisce), dovrà proporre un piano “B” che facilmente sarà l’estensione dell’articolo 50 e il tentativo di elaborazione di un nuovo accordo da negoziare poi con l’EU. Meno probabili, ma non impossibili, sono nuove elezioni, o un nuovo referendum. Direi che la probabilità che si concluda qualcosa per il 29 di marzo è ridottissima, per cui l’estensione sarà comunque necessaria. Di buono vi è che la probabilità di una “no deal brexit” è, a questo punto, bassissima.
Il voto dovrebbe avvenire domani sera dopo le 20 italiane, a meno che domani non si decida che è inutile perchè il risultato è scontato, e venga ritirato.
La sterlina ha continuato a ricevere un moderato supporto dal ridursi delle probabilità di una no deal o una hard brexit. Per il resto, i mercati si sono avviati all’apertura US con l’azionario in negativo, i tassi tedeschi in calo, l’€ deboluccio, e lo spread in allargamento, in nervosa attesa della formalizzazione del 15 anni BTP sindacato oggetto di numerose indiscrezioni la scorsa settimana.

Alle 14 era prevista l’overture ufficiale dell’earning season, con la trimestrale di Citigroup. Il colosso US ha riportato EPS leggermente sopra attese ma ricavi in calo del 2% anno su anno. A gravare sui risultati, il calo del 21% delle revenues di trading dal fixed income. Apparentemente, sul numero ha gravato un accantonamento (gia noto da dicembre) di 180 milioni a copertura di una perdita maturata con un Hedge Fund asiatico. Mi dilungo cosi sui dettagli, perchè, a fronte di risultati definiti, a margine, deboli, il titolo, dopo un inizio incerto, sta salendo del 4%. A mio modo di vedere, la sorprendente performance ha 2 driver: 1) il pessimo risultato del fixed income viene visto come un “una tantum” e non come un fattore stabile di debolezza 2) in generale, il consenso degli investitori è tarato per dei risultati mediocri, e quindi quando questi non sorprendono significativamente al ribasso, mostra sollievo.
L’accoglienza tributata alla trimestrale di Citigroup ha contribuito a risollevare il sentiment a Wall Street, tanto è vero che l’S&P 500, che ha aperto a -1%, giunto a metà seduta ha recuperato più di metà delle perdite trainato dal settore bancario.

Parlando di sollievo, decisamente evidente quello del BTP quando finalmente ha visto la luce l’annuncio del nuovo 15 anni BTP emesso tramite sindacato di collocamento. Gli operatori parlano di un book in apertura domani per una size da emettere di 6/7 bln, quindi non eccessiva. Sarà anche per questo che il future, dopo un breve scarto, è partito al rialzo nel più classico dei “buy the fact”. L’andamento della raccolta ordini domani contribuirà a movimentare la giornata sul BTP.

La chiusura europea vede i principali indici europei beneficiare del recupero del sentiment, dimezzando le perdite dai minimi segnati in tarda mattinata. Anche i rendimenti tesedchi hanno recuperato terreno, con il risultato che lo spread ha invertito la tendenza, per chiudere pressochè invariato. Stabile l’€ a fronte di un calo modesto del $ vs Yen e £.

Sul fronte macro gli Highlights della settimana comprendono domani il GDP tedesco del quarto trimestre, l’Empire NY fed di gennaio e un discroso di Draghi al parlamento Europeo, oltre ovviamente al voto inglese, a mercati europei chiusi. Mercoledi abbiamo i prezzi delle case in Cina, mentre le retail sales US di gennaio saranno probabilmente rinviate per shutdown, cosi comme i dati sull’immobiliare giovedi ed eventualmente la produzione industriale di dicembre venerdi.
Sul tronte trimestrali abbiamo domani JP Morgan e Wells Fargo, mercoledi BofA, Goldman e Blackrock, e giovedi Morgan Stanley, Netflix e Amex.