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Trump lancia la volata di Wall Street, ma l’i mercati azionari EU vanno in stallo

La nuova infezione polmonare di origine cinese è riuscita ieri a imporre a Wall Street una delle rare sedute in perdita di questo periodo.
Nulla di grave, eh? Un – 0.27% per l’S&P 500, che ha lasciato l’indice nei pressi dei massimi storici. Dopo la seduta, Netflix e IBM hanno riportato sopra attese, anche se la prima ha previsto un rallentamento degli abbonamenti nel trimestre in corso, e oggi il titolo paga un po’.
Neanche il tempo di archiviare la chiusura negativa, che i futures USA si sono rapidamente ripresi. Il catalyst sarebbero state notizie più confortanti sull’infezione: le Autorità cinesi, diversamente da quanto accadde per la  Sars, stanno prendendo iniziative di contenimento e offrendo molta più collaborazione. La  National Health Commission manda aggiornamenti tempestivi (al momento 473 infettati, e 9 vittime) e si sta già cercando un vaccino. La prevenzione, nel  2020, funziona in Cina molto meglio che 18 anni fa. Restano parecchi punti di domanda, in parte legati all’aumento degli spostamenti per il Capodanno Cinese, ma le notizie sembrano al momento tranquillizzanti.
Sta di fatto che gli indici asiatici hanno messo a segno un rimbalzo generale, anche se solo Seul, e Sydney hanno recuperato più di quanto perso ieri. Il resto dei principali indici ha ritracciato solo parzialmente, e Mumbai è addirittura scesa.

Le borse EU ci hanno provato, a imitare Wall Street, aprendo in moderato  progresso. Ma il movimento non ha tenuto e gli indici sono stati ricacciati verso l’invariato. A far evaporare il buon tono hanno contribuito le vicende italiane, che hanno gravato sugli asset di casa nostra, in mattinata. Le dimissioni di Di Maio da segretario dei 5 Stelle hanno inferto un altro colpo alla coalizione di Governo, alla vigilia di elezioni regionali il  cui esito è tutt’altro che certo, insieme con le conseguenze per l’esecutivo.
L’uscita di scena di Di Maio non dovrebbe però  essere motivo di scissione della coalizione. E’ improbabile che il nuovo leader, chiunque sia, voglia gettare il Partito in elezioni anticipate coi sondaggi attuali e senza aver un po’ ricompattato le fila. Discorso diverso per una vittoria del Centrodestra in Emilia Romagna. Anche in questo caso l’appetibilità di elezioni anticipate per PD e 5 Stelle sono ridotti. Il  rischio maggiore è costituito dalla possibilità che un’altra batosta ingrossi la transumanza dei Parlamentari verso la Lega, facendo mancare la  maggioranza parlamentare.
Su queste basi, i BTP sono partiti pesanti e anche Piazza Affari ha continuato sottoperformare gli altri indici.
Così siamo approdati al primo pomeriggio, con l’azionario Eurozone che faticava a mantenersi in positivo,  ma gli indici USA attesi decisamente più arzilli a giudicare dai livelli indicati dai futures. Tra i motivi della divergenza, che si accentuerà andando verso la  chiusura europea, probabilmente i toni trionfalistici usati da Trump a Davos e in un intervista con Fox news:

*TRUMP SAYS TAX CUTS, HEALTHCARE AND TRADE DEALS ARE AHEAD – FOX BUSINESS *TRUMP SAYS “WE ARE GOING TO BE DOING A MIDDLE CLASS TAX CUT, A VERY BIG ONE”; *TRUMP TELLS FOX BUS. TAX-CUT PLAN COMING IN 90 DAYS
*TRUMP SAYS WOULD BE SURPRISED IF TARIFFS NEEDED ON EUROPE
*TRUMP SAYS DOW WOULD BE UP TO 10,000 POINTS HIGHER IF IT WEREN’T FOR THE FED – CNBC

Su un mercato azionario già decisamente incline all’euforia, queste dichiarazioni hanno prodotto un ulteriore apertura record. E poco importa se il Chicago Fed National Activity Index di Dicembre ha segnalato una crescita significativamente sotto trend (-0.35 da prec +0.41 e vs attese per +0.13). E l’earning season, col 25% di aziende che ha già riportato, stia mostrando numeri positivi, ma non eccezionali (72% di aziende sopra stime di EPS di un 3% in aggregato, e un earning growth dell’ 1% anno su anno).
Che Trump faccia di tutto per alimentare il rally azionario, in un anno elettorale, conoscendo il soggetto, mi sorprende abbastanza poco. Avrei qualcosa da dire sulla tempistica, trovandoci con un mercato iperesteso e ancora a 10 mesi alle elezioni. Ma naturalmente il Presidente nutrirà la massima fiducia nelle sue capacità di catalizzare la positività a lungo. E sicuramente è convinto di potersi giocare il bonus “pacchetto fiscale”, contando evidentemente su una presunta propensione al suicidio politico dei Democratici, che controllano la  Camera.

Sono più sorpreso dell’atteggiamento della FED, onestamente.
Sul fronte doppio mandato, l’economia USA scoppia di salute, con la  disoccupazione ai minimi dagli anni ’60, e l’inflazione più o meno a target. Una fase di debolezza del manifatturiero (sostanzialmente autoprocurata dall’Amministrazione grazie alla trade war) è stata affrontata con 75 bps di tagli dei tassi e corpose iniezioni di liquidità, tali da aumentare il bilancio Fed di oltre 400 bln $ in meno di 6 mesi. L’azionario USA sale da 3 mesi a ritmi elevati, in un contesto di volatilità eccezionalmente bassa e con numerosi segnali di euforia (anche oggi Tesla guadagna il 7% e la sua performance a 3 mesi è del 114%).

E sul mercato si è creata una tale convinzione che, con le iniezioni di liquidità operate, un ribasso sia impossibile (vedi Lampi di ieri).
Per fare un esempio, le Calls sull’indice acquistate per aprire una nuova posizione, per la seconda settimana di fila hanno fatto il record storico come % dei volumi del NYSE, e lo stesso vale per il numero di Call di apertura nuova posizione acquistate meno il numero di quelle vendute (dati di Sentimentrader.com.

Questo è rappresentativo di un pubblico interamente dedicato  a  perseguire il rialzo, e per nulla preoccupato di un calo. E indicazioni del genere se ne possono trovare decine, tutte altrettanto allarmanti.

E di fronte a tutto ciò, Powell e C. non aprono bocca. Nessun riferimento (che io abbia sentito) a rischi per la  stabilità  finanziaria, nessun commento “a la Greenspan” sull’irrazionalità degli investitori, o alla circostanza che tra gli obiettivi della Fed non c’è quello di gonfiare i corsi azionari. Ricordo che Bernanke, quando nel 2013 osservò che i mercati si stavano assuefacendo al QE,  nominò il  “tapering”.

Il Fomc, in effetti, non è in una posizione facile. Questo è un anno elettorale, e si sa che la  Fed cerca di limitare gli interventi in queste occasioni per non mostrare di favorire una delle fazioni. Ma il silenzio di fronte ad un Presidente che la  accusa apertamente di non permettere livelli ancora più gonfiati tende a dare l’impressione che il Fomc ne sia succube, e tema la  sua reazione a fronte di eventuali mosse per riportare la price action a livelli meno surriscaldati.
Se invece la performance attuale e futura degli indici dovesse risultare pienamente giustificata da un recupero del quadro macro e degli utili e una scomparsa dei downside risks, allora dovremmo chiederci perchè  il FOMC non indica a quali condizioni metterà fine all’attuale stance espansiva.
Detto ciò, è anche vero che le fasi di euforia, come quelle di depressione,  avvengono spesso nonostante la  FED, e contengono al loro interno i germi per la loro risoluzione. Solo che, come avvenunto nel 2018, questa può essere alquanto dolorosa.

In Eurozone non abbiamo ne Trump, ne la Fed (e nemmeno, ammettiamolo, molte delle eccezionali aziende USA), e così, da un po’ l’azionario continentale fatica a tener dietro a Wall Street.  Oggi costituisce un buon esempio, con i principali indici che hanno terminato la seduta in moderato calo,  complice una fase meno robusta per quelli d’oltreoceano. L’Eurostoxx resta vicino ai massimi, ma è su livelli già visti a metà Dicembre, mentre l’Eurostoxx Banks perde oltre il  3% da inizio anno. Dalle nostre parti il “feel good” risulta assai minore. Va notato che gli asset italiani hanno quasi colmato il gap d’apertura con i competitors: lo spread è terminato stabile e milano ha ceduta appena più dell’Eurostoxx.

Domani abbiamo l’ECB. Ma non dovrebbe trattarsi di una conference particolarmente eccitante. Avremo forse un parziale riconoscimento che i rischi per l’outlook sono diminuiti, e qualche informazione sulla revisione della struttura di politica monetaria.