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Il rally diventa corale sui global assets

Prosegue, e si allarga alla maggioranza dei risk assets, il recupero iniziato 2 giorni fa.

Ieri sera, il mini intoppo sul pacchetto da 2 trilioni di Dollari al Senato aveva causato un bel ridimensionamento di performance a Wall Street, pur permettendo all’S&P 500 (+1.15% in chiusura, oltre 2 punti sotto i massimi di seduta) di interrompere la serie di sedute senza 2 guadagni consecutivi, che durava dal 12 Febbraio. Una scusa per prendere beneficio, più che altro, visto che un’approvazione non è mai stata in dubbio a mio parere.

E infatti, puntualmente, la fumata bianca è arrivata in nottata. Il provvedimento, che ora andrà alla Camera per l’approvazione domani (non è escluso qualche intoppo anche li), e quindi dal Presidente per la firma, prevede assegni da 1.200 $ per tutti gli Americani con redditi sotto i 75.000$, e a scalare sopra. Circa 850 bln vanno in loans alle aziende, mentre altre risorse vanno a aumentare i sussidi di disoccupazione e ad estenderne i diritti. Per dare un idea dell’intervento, il pacchetto varato nel 2009 era di 800 bln $, meno della metà. E sono disposto a scommettere che non è finita.

L’approvazione non ha però restituito molta brillantezza al mercato. L’azionario asiatico ha avuto una seduta contrastata, con il Giappone, grande protagonista dei giorni scorsi, in brusco arretramento, e gli altri indici moderatamente negativi tranne i dog dell’ultimo periodo (Jakarta, Mumbai). E i futures USA sono rimasti in negativo durante la seduta.
Va ricordato che abbiamo avuto il primo dato di GDP del primo trimestre asiatico: Singapore ha segnato un bel -10.6% trimestre su trimestre (annualizzato, però) e un -2.2% anno su anno, entrambi peggio delle attese.
Anche i numeri sugli infetti in Asia stamattina hanno causato qualche perplessità. In Cina si nota una lieve ripresa e a Hong Kong e Singapore nell’ultima settimana i casi, ancorchè bassi sono raddoppiati rispetto a quelle precedenti. Quanto basta per cominciare a temere che le riaperture stiano cominciando ad alimentare una nuova accelerazione.
Un altro grande focus della giornata, in grado di tenere a bada il sentiment, era la pubblicazione dei sussidi di disoccupazione richiesti la scorsa settimana in US, prevista a mettà seduta europea. L’attesa era per un dato catastrofico: il consenso a 1.7 milioni, oltre il doppio del massimo storico, e il range compreso tra 340.000 e 4.4 milioni.
Inoltre, era prevista la teleconference dei leader EU (ore 16), con all’ordine del giorno la risposta alla crisi, e sul tavolo l’utilizzo dell’ESM e eventualmente i Coronabonds. Gli ultimi commenti del nord Europa (Olanda e Austria) non erano stati molto costruttivi su questi ultimi (*SCHOLZ: I DON’T THINK EUROBONDS ARE THE RIGHT TOOL). Nella serata di ieri un po’ di speranza aveva dato una lettera firmata da Francia, Italia, Spagna e altri 9 paesi per richiedere appunto questi strumenti di debito con reciproca mutualità.
Su queste basi, la seduta europea è iniziata con un tono opaco e gli indici a mostrare un bel passivo, anche se in gran parte dovuto al fatto che c’era un catch up da fare con Wall Street, che ieri sera si era persa 2 punti nell’ultima ora.
Si è notata però da subito una certa verve sui bonds governativi europei, attribuibile in gran parte alla pubblicazione da parte dell’ECB di uno statement in cui si dichiara che a causa dell’eccezionalità della situazione, agli acquisti effettuati sotto il programma PEPP (Pandemic Emergency Purchase Program) non subiranno le limitazioni dei programmi di QE precedenti (in particolare il limite per emissione e quello sulle scadenze) e vi sarà flessibilità sulla Capital Key. Ad alimentare la bonanza, in mattinata sono comparse su Bloomberg indicazioni che il programma era partito in forze (*ECB SAYS IT STARTED PURCHASES UNDER PEPP ON MARCH 26).
In tarda mattinata Powell ha fatto un apparizione in TV, in cui ha rassicurato che la FED ha ancora tanto spazio per operare, che il supporto del Governo permetterà di emettere prestiti con un moltiplicatore di 10. Ha però ammesso che gli USA potrebbero già essere in recessione perchè alcuni settori dell’economia hanno “smesso di funzionare” per il virus.

Alle 13.30 (un ora prima del solito per l’ora legale in US) grande shock. I Jobless claims per la settimana terminata il 21 Marzo sono risultati 3.283.000, con un rialzo di 3.001.000 unità rispetto alla settimana precedente, e oltre 4 volte il record precedente 782.000 segnato nel 1982. E probabilmente questo è solo il primo balzo, ma questo numero è destinato a salire ancora parecchio. Certo, bisogna capire come funziona questo ammortizzatore sociale negli Stati Uniti, dove perfino i lavoratori degli impianti automobilistici possono chiederlo nel periodo di chiusura estiva. In ogni caso, si tratta di un numero che rende ben evidente l’impatto delle misure di contenimento, in un economia in cui il mercato del lavoro è flessibile. Ondate di licenziamenti.

E la reazione del mercato?
Coerente con quella osservata in occasione di altri dati macro i giorni scorsi. L’azionario ha fatto il minimo sul dato, e come si è capito che nessuno aveva nulla da vendere a fronte di questi numeri, è partito un forte rally, che ha portato gli USA a superare i massimi di ieri.
La caratteristica del movimento odierno, rispetto ai precedenti, è stata la progressiva coralità. Dietro all’azionario sono partiti i bonds, a loro volta in recupero. Il rally dei periferici si è fatto spasmodico, ed infine anche il credito ha strappato al rialzo, con i corporate bonds improvvisamente diventati introvabili per i compratori. E il Dollaro, dopo aver ingenerato i giorni scorsi ogni genere di spiegazione per la sua forza, ha infine mollato, cedendo pesantemente oggi contro tutto.
Alla fine della seduta europea, i progressi degli indici sono buoni, ma non eccelsi, per i tempi. Ma bisogna ricordare il catch up con il calo finale di Wall Street ieri, e l’attesa per l’esito della teleconference dei Leaders EU.
E, in ogni caso, il recupero dai minimi per l’Eurostoxx 50, marcati il 16 marzo nel durante, è ormai esso stesso un bull market (+23% in 8 sedute).
La discesa dei rendimenti è spettacolare, con cali  2 cifre in praticamente tutta Europa e un collasso della parte breve italiana, con il 2 e il 3 anni tornati a 0.1% e 0.2% (erano all1.8% e al 2% il 18 marzo, prima dell’intervento ECB).

Unica nota stonata della giornata, il nuovo crollo del Petrolio, depresso dalla nuova revisione al ribasso della domanda da parte della IEA (-20 mln barili al giorno) e dalla notizia che l’amministrazione Trump ha ritirato l’offerta di comprare petrolio per le proprie riserve strategiche, in mancanza di finanziamenti dal Congresso.

In chiusura, la performance di Wall  Street si è fatta sontuosa. Il recupero dell’S&P 500 è del 6.1%, da sommare al +1.1% di ieri e al +9.4% di martedì: Quasi un 17% in 3 sedute.
Parecchio si è detto dei driver di questo recupero. Chi lo lega all’ammontare di risorse destinate al supporto di economia ed assets (senz’altro vero), chi all’attesa di una “V” shape recovery dell’economia (possibile ma al momento privo di elementi a supporto), chi al fatto che Trump parla di riaprire l’economia a Pasqua (cosa che secondo me è un “negative”).
Personalmente sono convinto che il rimbalzo, che avviene in un contesto di dati macro che stanno andando in picchiata, e numeri che segnalano un esplosione dell’infezione in US e UK (oltre che in Europa), gode di 2 driver:

1) l’evidente whatever it takes delle autorità monetarie, e dei Governi. Nel momento in cui si è capito che il moral hazard sarebbe finito in soffitta, e che le azioni sarebbero state abbondanti, rapide e in una certa misura (ma si può migliorare) coordinate, le liquidazioni si sono calmate.
2) motivazioni squisitamente tecniche. Come osservato i giorni scorsi, lo stress sui mercati è arrivato a livelli tali da non aver più margine di peggioramento. Una situazione resa evidente dalle reazioni agli orrendi PMI Europei martedì ( link commento) e ai jobless claims oggi, per fare 2 esempi. L’incombente rebalancing di fine mese dei fondi pensione e altri prodotti di strategia ha offerto supporto in più, alimentando timori di robusti flussi in acquisto (che a mio parere stanno già avvenendo).

L’impressione è che il movimento abbia ancora qualcosa da dare, ma non certo a questi ritmi, e non so quanto valga la pena di puntarci in maniera aggressiva. Un target per questa mossa potrebbe essere in area 2750, tra la media mobile a 20 giorni (2675), e il 50% di ritracciamento del movimento dai massimi (2790). Sopra 2.800 sembra francamente ambizioso, in considerazione del newsflow che ci troveremo ad affrontare nelle prossime settimane, tra diffusione dell’epidemia in US, primi numeri macro, incombere dell’earning season, che avrà guidances tra il disastroso e l’indeterminato, e le incognite che ancora la situazione presenta globalmente come contagio.

Il prolungarsi dei tempi della conferenza stampa post Euro Summit mostra che ci sono dissensi tra il Nordeuropa e la Periferia sugli strumenti da usare per combattere la crisi. E’ incredibile come un po’ di sollievo sui mercati possa far riemergere divergenze che nel pieno del panico sembravano appianate. Intuibilmente, chi ha un bilancio di buona qualità è riluttante a condividerlo con paesi meno virtuosi. Mentre, a giudicare dalle indiscrezioni sulla stampa, Italia e Spagna si rifiutano di firmare un comunicato che parla di strumenti tradizionali, quindi con annessa condizionalità, difficili da vendere internamente. Se i Coronabonds al momento sembrano un “non starter”, un utilizzo del ESM in maniera da limitarne il costo politico (con condizioni solo di facciata, oppure con tutti i paesi che se ne servono pro quota) potrebbe essere tranquillamente percorribile. Dovesse, per contro, su questo scoglio, saltare l’armonia che le contingenze sembravano aver creato tra i membri EU, ritengo che ci penserà molto rapidametne il mercato a fornire nuovi incentivi alla coesione.