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Il Labour market report USA di novembre fracassa le stime e l’azionario torna nei pressi dei massimi.

Ieri sera, l’ennesimo commento di Trump sulla questione “Cina” ha dato un piccolo spunto finale a Wall Street dopo una giornata abbastanza piazza sull’azionario. Il Presidente ha dichiarato che i colloqui “procedono bene”, e che per i dazi in aumento al 15 Dicembre “si vedrà”. Il tono leggermente più positivo rispetto al “per il momento il  programma è di alzarli” dei giorni scorsi è valso un +0.16% per un S&P che aveva cominciato con un tono incerto ed era rimasto marginalmente negativo per il grosso della seduta. In precedenza Mnuchin aveva parlato di una telefonata tra le parti, ma il Segretario di Stato è unanimemente considerato il Good Cop, dopo aver più volte manifestato eccessivo ottimismo. Il Bad Cop è ovviamente Lighthizer, mentre Pompeo, silente da un po’, può essere considerato “the ugly”.

La giornata dei payrolls è quindi iniziata con un tono moderatamente positivo in Asia, sebbene l’incombere del labour market report US abbia prodotto il consueto clima di attesa. Il WSJ in un pezzo ha riportato che le residue divergenze tra le parti riguarderebbero l’entità degli acquisti di derrate alimentari e l’ammontare di riduzione dei dazi. Se questo fosse tutto, si può dire che un accordo è senz’altro possibile. Ma ne abbiamo sentite di tutti i colori in questo periodo. Di parte cinese si continua ad affermare che una discesa dei dazi è condizione necessaria per un “phase one deal”. Continuano inoltre i mugugni per le 2 leggi promosse al Congresso, con la seconda sui mussulmani in corso di approvazione.
A 10 giorni dalla presunta deadline, però la retorica è per il momento migliore di quel che io stesso mi attendessi, che può voler dire che effettivamente le parti sono vicine, oppure che nessuna delle 2 considera di potersi accordare entro quella data per cui la pretattica è giudicata inutile. I mercati sembrano più  inclini alla prima ipotesi.
Così le performance dei principali indici sono tutte positive, a eccezione di Mumbai. Tokyo è risultata un po’ frenata dal pessimo household spending (-5.1% a ottobre vs attese per -3.1%) ma è evidente l’effetto aumento IVA, aggravato dall’impatto del tifone. Tra l’altro ieri il pacchetto fiscale da 26 trilioni di Yen, filtrato come indiscrezione i giorni scorsi, è stato ufficializzato da Abe.

L’apertura europea è avvenuta anch’essa con un tono d’attesa.
Tra ieri e oggi abbiamo appreso che il miglioramento relativo delle survey ancora non sta trasferendosi ai dati macro in Germania. Ieri i Factory orders di ottobre hanno deluso (-0.4% da prec +1.5% e vs attese per +0.4%), e se togliamo i big tickets (come gli aerei) il calo è ben maggiore (-1.4%). Brusca la divergenza tra domanda interna (-3.2%) e quella estera (+1.5%) dominata dall’area europea. Un disastro la produzione industriale di ottobre, pubblicata oggi (-1.7% da prec -0.6% e vs attese per +0.1%). A pesare, i capital goods, mentre semilavorati e prodotti finiti sono cresciuti. Con questi numeri, un ritorno alla contrazione per l’economia tedesca nel quarto trimestre è sempre più probabile. Se non altro, dal Congresso del SPD che inizia oggi partono segnali sempre più bellicosi sul fronte fiscale. La linea approvata dal Partito, che ha eletto oggi Walther-Borjans alla guida, è di puntare ad un aumento degli investimenti pubblici pare ad un 1.3% del GDP all’anno, eventualmente abbandonando la politica di pareggio. Un economia che rimane debole darà forza alle loro rivendicazioni.
In Francia, secondo giorno di sciopero dei lavoratori pubblici contro la riforma delle pensioni che dovrebbe essere definita in settimana. I sindacati sembrano irremovibili nell’intenzione di continuare fino al suo ritiro, ma tra l’elettorato è assai diffusa la convinzione che le pensioni devono essere riformate.

Con questo sentiment timidamente costruttivo e di attesa siamo giunti alla pubblicazione del labour market report USA di novembre. Che ha davvero spaccato:
** 266.000 nuovi occupati, vs attese per 180.000 e con revisione complessiva dei 2 mesi scorsi in rialzo di 41.000. Ottobre è passato da 128.000 a 156.000. E probabilmente le attese dell’ultimo minuto erano anche più basse per via dell’ADP uscita giovedì appena a 67.000. La media a 3 mesi torna sopra 200.000/mese (a 205.000). Certo, bisogna tener conto che la fine dello sciopero a GM ha aggiunto 46.000 unità, ma questo era atteso, e fattorizzato nelle stime.
** La disoccupazione è tornata sui minimo dal ’69 di 3.5% vs attese di stabilità al 3.6%. Anche se quì c’entra la riduzione della forza lavoro, mentre la household survey indica appena 83.000 nuovi occupati.
** Una revisione di 0.2% a +0.4% dei salari orari di ottobre mostra anche un accelerazione dell’inflazione salariale.
In generale un report forte, che coglie il mercato ancora più di sorpresa, in quanto arriva dopo un ADP bassissima, e con altre misure del mercato del lavoro, come i Job openings, i continuing claims, e le percezioni attraverso la Consumer Confidence e l’ottimismo delle piccole aziende, che segnalano un minimo di assestamento. D’altro canto, avendo Powell chiarito che per muovere i tassi serve un significativo cambio del quadro, per quanto buono questo dato non è sufficiente a far temere un cambio di stance della FED. Nessun rischio da quel punto di vista, per ora.

L’impatto sul mercato è stato coerente, con l’azionario che ha rapidamente accumulato un robusto rialzo, il dollaro che ha recuperato sulle altre divise, i tassi in generale rialzo, e i metalli preziosi offerti. In denaro anche il Petrolio, dopo l’accordo all’OPEC per un taglio di 500.000 barili al giorno.
Così gli indici europei chiudono con bei guadagni, recuperando quasi interamente le perdite maturate nei primi 2 giorni della settimana. E Wall Street a metà seduta è tornata a flirtare con i massimi storici, distanti non più di qualche decimale per l’S&P 500. Detto dei cambi, l’impatto sui tassi europei core è stato ridotto. In buon recupero il BTP che ieri aveva ceduto, ignorando sorprendentemente l’annuncio del buyback del Tesoro (4 bln su btp brevi, ctz e cct) ma oggi ha visto i rendimenti scendere, in particolare su 3 e 5 anni, dove forse si è concentrata parte della liquidità  riveniente.

Personalmente, resto meno impressionato del mercato da questo labour market report:
** Si tratta di una serie assai voltatile, come mostra la debolezza mostrata nella prima parte dell’anno e in alcuni mesi poi corretta successivamente dalle revisioni. Non a caso la Household Suvery ha spesso dato il messaggio opposto ai payrolls (come ad esempio oggi). In questo senso, il singolo dato non va sovraccaricato di importanza
** Inoltre, è una serie “lagging”, in quanto l’occupazione segue il ciclo e non lo precede.
** In questa fase, poi, c’erano già segnali di stabilizzazione in alcune survey (PMI), e i mercati azionarisi trovano sui massimi storici dopo un rally di 2 mesi. In questo senso, i livelli incorporano già un economia in ripresa e non mi pare vi sia un repricing particolare da fare.
** Infine, se le cose stanno così, è  difficile che la Fed tagli ancora i tassi, e il mercato vi attribuisce ancora una probabilità residua.
Su queste basi, ritengo che il report non costituisca –  da solo – un buon motivo per incrementare l’azionario. Diverso è se cambia il quadro tecnico, cosa che potrebbe anche avvenire, ma se avviene in tempi troppo brevi, la probabilità di una falsa rottura risulterà elevata.

Detto questo, messa la tara al report odierno, resta l’immagine di un mercato del lavoro USA solido, che ha sofferto ben poco del recente rallentamento del manifatturiero e del ciclo in generale (una caratteristica comune anche all’Europa e ad altre aree geografiche). Questa sostanziale solidità, che si riflette sui redditi disponibili, sule confidence e quindi sui consumi, contribuisce a spiegare come mai il rallentamento dell’attività economica registrato dalle survey non si è trasferito interamente sui dati di contabilità nazionale, creando la divergenza osservata negli ultimi mesi (vedi grafico di Citigroup)