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America isola felice in un economia globale ancora in sofferenza

Sembra una barzelletta, ma dopo “il peggior dicembre dal 1931”, per l’S&P 500 quello che si è chiuso ieri, con il suo + 7.87% è il miglior Gennaio dal 1989, e il miglior mese da ottobre 2015.

Sicuramente, la reazione dei mercati al deterioramento del quadro macro (in particolare in US) era stata assai esagerata, e tutta una serie di indicatori statistici chiamava a gran voce un rimbalzo (ne ho scritto per tutta la seconda metà di dicembre).Detto questo, il recupero è stato a sua volta eccezionalmente rapido e, per ora, privo di particolari pause.

Il principale fattore di questo violento cambio sentiment è la radicale modifica della stance FED. Un Committee che a Dicembre riteneva necessari ancora “alcuni” rialzi e vedeva la normalizzazione del bilancio andare avanti “col pilota automatico”, a poco più di un mese di distanza definisce la sua stance “neutrale”, adotta un atteggiamento “paziente” e definisce modificabile in ogni sua modalità  la politica di riduzione del bilancio.
I principali presupposti di questo mese record sono stati quindi forniti dall’accoppiata eccesso di pessimismo + FED super accomodante. Un aiuto, poi è venuto anche dalle news sul fronte trade (sul quale la schiarita era avvenuta però già a dicembre) e da un inizio di earning season fin qui accettabile, e comunque distante dai timori degli investitori.
Con 235 aziende che hanno riportato su 500, possiamo cominciare a fare il punto. La percentuale che ha battuto le stime di EPS è del 73%, in media del 2.84% (dati di Bloomberg), mentre un 60% ha battuto quelle di fatturato, in media dello 0.5%. Siamo distanti dalla brillantezza delle ultime 3 stagioni, dove tra l’altro non vi era stato alcun ridimensionamento delle attese. Siamo quindi tornati alla normalità. La crescita degli EPS si attesta attorno al 14.5% e quella del fatturato sul +6%.  Tenuto conto del tipico margine medio di sorpresa (circa 3%) non siamo distanti dalle attese degli analisti (EPS growt +11/12%). Un rallentamento marcato rispetto al +24% del Q3, un dato ancora pesantemente influenzato dal taglio alle tasse, ma certo non un disastro. Come si nota dalle reazioni (vedi Lampi del 25 Gennaio) gli investitori erano assai più scettici, e si trovano a rincorrere il mercato.
La seduta di ieri a Wall Street fornisce un buon esempio di contributo dato dagli earnings al rally, con Facebook (+11%) e General Electric (+11.5%) a guidare un nutrito gruppo di reazioni entusiastiche, anche se poi la guidance di Amazon, che ha pubblicato dopo la chiusura, ha causato uno scivolone del titolo in aftermarket (+4%). Altro supporto è venuto dalle news provenienti da Washington a conclusione del meeting Cina – USA. Più che gli statement finali, costruttivi ma privi di dettagli, ad alimentare l’ottimismo hanno contribuito le affermazioni positive di Lighthizer, solitamente posizionato tra gli intransigenti/scettici. Inoltre, Trump ha dichiarato l’intenzione di inviare una delegazione in Cina nella prima parte di Febbraio per continuare le trattative. Si percepisce, da entrambe le parti, una certa fretta di addivenire ad un accordo prima del primo marzo, data di scadenza della tregua, quando in assenza di un deal verranno elevati i dazi e varate le rappresaglie.

Sul fronte macro, oggi era una giornata davvero piena.
Abbiamo esordito durante la seduta asiatica, con una raffica di PMI manifatturieri di gennaio, in verità quasi tutti in calo (solo l’India ha mostrato accelerazione), a indicare che per il momento il rimbalzo congiunturale nell’area ancora non si vede. Tra i paesi con settore manifatturiero in contrazione abbiamo Taiwan, Corea del Sud, e Cina, dove diversamente dal dato ufficiale, il PMI Markit ha segnalato ulteriore deterioramento (48.3 da 49.7 e vs attese per 49.6). Non stupisce che le Autorità si stiano dando tutto questo daffare recentemente.
Oggi, però a bilanciare la mediocrità dei dati, c’erano i toni positivi sul trade, e così le “A” shares si sono scosse dal torpore degli ultimi giorni, mettendo a segno un bel progresso. Per una volta, a guidare il movimento è stato il Chinext small cap (+3.5% vs +1.3% dell’indice generale). Un catch up decente di questo indice sarebbe l’ultimo tassello che manca ad un quadro di bottom dell’azionario cinese.

Il resto dell’area asiatica è rimasto maggiormente succube del tono dei dati. E lo stesso si può dire dell’area europea, quando i PMI manifatturieri finali di gennaio hanno confermato la debolezza dei dati flash per Francia, Germania ed Eurozone, e l’ulteriore deterioramento dell’attività italiana (47.8 da prec 49.2 e vs attese per 48.8, nuovo minimo dal 2013). Nel commento al report del Belpaese, Markit sottolinea il marcato calo dei new orders, e il primo rallentamento del sottoindice dell’occupazione, da 4 anni. Meglio la Spagna (52.4 da 51.1 e vs attese per 50.5).

La seconda stecca macro a fila, dopo il GDP recessionario pubblicato ieri, ha infine avuto ragione del coriaceo sentiment positivo sui BTP osservato nell’ultimo periodo. Le vendite sono partite pesanti sui futures, e per metà mattinata i rialzi dei rendimenti sulla curva btp avevano raggiunto la doppia cifra su tutte le scadenze. Alcuni operatori hanno spiegato la violenza del movimento con lo scattare di stop loss  a protezione di posizioni acquistate nell’ultima asta. Peraltro, visto l’impatto che un marcato rallentamento macro può avere sulle finanze pubbliche italiane, c’è poco da stupirsi che una serie di dati del genere deprima l’appetito per il BTP. L’impatto sullo spread sarebbe stato anche maggiore se il dato di inflazione europea core di gennaio sopra consenso (1.1% da 1% dicembre, vs 1% atteso) non avesse posto un freno alla forza del Bund.
Il doppio colpo dati/spread è piaciuto poco al settore bancario italiano, che ha preso ad affondare nuovamente, zavorrando un sistema bancario europeo già alle prese con un quadro macro Eurozone debole, e innervosito dalla trimestrale di Deutsche Bank.
In questo contesto c’è forse da stupirsi che l’Eurostoxx abbia indugiato a lungo nei dintorni della parità, e che Piazza Affari, pur scendendo, abbia sostanzialmente limitato i danni.

Quando, nel pomeriggio, sembrava che l’azionario continentale fosse sul punto di cedere al pessimismo, a ridare la carica ci hanno pensato un paio di dati macro USA a cui mancava solo il fiocco rosso sopra, per sembrare dei regali del fato:
** Il labour market report di gennaio ha mostrato una crescita di nuovi occupati assurda (304.000 vs 165.000 attesi) che probabilmente porta i segni dello shutdown in termini di distorsione (vedi la revisione al numero di dicembre e il calo di 251.000 nella household survey). Ma nel report troviamo anche una crescita della partecipazione alla forza lavoro sontuosa, e una salita dei salari orari sotto attese, che al momento non da alcun motivo alla Fed di preoccuparsi dell’unica variabile che può convincerla ad abbandonare la recente stance “paziente”: l’inflazione.
** L’ISM manufacturing di gennaio ha messo a segno un robusto rimbalzo (56.6 da prec 54.3 e vs attese per 54) a dimostrazione della robusta componente emotiva del crash di Dicembre. Ancora meglio, il recupero è stato trainato da un rimbalzo dei new orders (da 51.3 a 58.2) che ben depone per i mesi futuri. E il sottoindice dei prezzi pagati? Un calo di 5.3 punti a 49.6 che, se preso alla lettera, farebbe tagliare i tassi a Powell !

Naturalmente Wall Street ha gradito i doni.  L’indice è partito con un buon tono  e ha trainato l’azionario europeo a chiusure decorose, nonostante la perdurante pessima vena del settore bancario (-3.5% in 2 sedute quello europeo, – 5.5% quello italiano), che ha frenato gli indici in cui occupa il maggior spazio (Milano e Madrid).
Il BTP non ha potuto contare su tanta fortuna, e ha chiuso poco distante dai minimi. Sul fronte cambi I dati USA, buoni ma senza inflazione, lasciano invariato il Dollar Index, con l’€ che recupera marginalmente e yen e Sterlina che scendono.
Dopo la chiusura europea, a Wall Street è arrivata qualche presa di beneficio, più che comprensibile su un mercato che ha recuperato oltre 15 punti percentuali dai minimi del 24 dicembre, quasi 8 nel mese terminato ieri, di cui oltre 2 nelle ultime 2 sedute.

L’accoppiata inflazione moderata/Fed paziente sembra essere un fattore positivo in particolare per il comparto emergente, che ha visto i sorci verdi nel 2018, anno in cui i tassi USA sono stati alzati 4 volte e il Dollaro si è apprezzato, e se ora i Fed Funds si fermano, può ricominciare ad attirare i flussi dei carry trades. Un tema un po’ scontato forse, ma, per dirla con gli inglesi “it is what it is”.

Dal punto di vista tecnico, la FED sembra aver decretato la fine del breve consolidamento seguito al rimbalzo dai minimi di dicembre

L’S&P ha accumulato un po’ di distanza dal supporto in area 2.600, cosa che da al quadro un po’ di margine al ribasso, prima di potersi considerare a rischio. Il primo target al rialzo è il recupero della media mobile a 200 giorni in area 2740. Ovviamente il rimbalzo è così ripido che una qualche reazione è sempre possibile. Detto ciò, la breadth del movimento (il livello di partecipazione al rialzo, misurata in vari modi) è molto forte, un sintomo che di solito non si riscontra nei mercati in trend negativo. Inoltre, se molti indicatori di sentiment di breve hanno totalmente cambiato volto (Ad esempio il greed/fear index è passato da “extreme fear” un mese fa a “greed”) altri studi indicano che il positioning risulta ancora assai scarico, il che spiega la riluttanza del mercato a correggere. Nel grafico, courtesy of Citigroup Global macro Strategy, si riporta il “beta” ovvero la sensibilità degli Hedge Fund long/short all’S&P 500, su livelli storicamente bassi,a indicare un esposizione ridotta.