Trump ruba la scena al CPI US…

Doveva essere la  giornata del  CPI US,  ma Trump è riuscito a  rubargli la scena.

Il clima di moderata presa di beneficio di ieri sera a Wall Street non ha impedito al  Nasdaq di mettere a segno la  settima seduta positiva a fila ( a  fronte del marginale ribasso dell’S&P).
Anche l’Asia è  andata incontro al dato con un atteggiamento consolidativo.  Tokyo si è  avvantaggiata di un marcato indebolimento dello  yen,  di dubbia provenienza (alcuni lo hanno connesso con la conferma di Taro Aso che non intende dimettersi).
In calo gli indici locali cinesi, che forse non hanno gradito la migrazione alla PBOC di alcune funzioni di vigilanza in seguito alla fusione della China Banking Regulatory Commission con la  China Insurance Regulatory Commission,  in quella che sembra una mossa per rendere più  efficienti ed efficaci i controlli sul sistema finanziario.
Eventualmente, lo  stop  imposto da Trump all’acquisizione di Qualcomm da parte di Broadcom (un azienda US che fino a poco fa aveva sede a Singapore) ancora in nome della sicurezza nazionale, è stato visto come un ulteriore avvertimento di stampo protezionista al  colosso  asiatico. Sorprendentemente, le  “H” shares hanno mostrato un progresso, nonostante l’ampia rappresentanza di banche statali.   Stanotte abbiamo la pubblicazione dei dati macro cinesi di Febbraio (retail sales, produzione industriale e investimenti), che dovrebbero ragionevolmente correggere, vista la preferenza per la  qualità della crescita rispetto alla quantità,  espressa dai Leaders nell’ultimo  National  People Congress. Vedremo se la dietrologia paga.
Tra gli altri indici continua il recupero di Seul  mentre la debolezza dei materials ha depresso Sydney.

La seduta  europea è iniziata con un mood timidamente costruttivo. L’idea sottostante era che il CPI US,  dopo  la  massiccia sorpresa di gennaio,  sarebbe tornato maggiormente in linea con le  attese, (se non sotto, come ha fatto l’inflazione salariale), evitando shock al mercato.
Tra l’altro, la  premessa è  stata  pure azzeccata. Il CPI US di febbraio è  uscito dove lo aspettava il consenso (0.2% da prec 0.5%) grazie all’arrotondamento per eccesso. Il dato core,  osservato  speciale, ha a sua volta confermato le  stime (0.2% da 0.3% di gennaio) ma,  a parte anche qui l’arrotondamento di 0.02%,  la  composizione mostra contributi elevati dalle componenti volatili (vestiario, aviolinee e auto insurance) mentre quelle più stabili (servizi abitativi e healthcare) hanno deluso.
In generale un dato che conferma il graduale recupero della componente ciclica dell’inflazione US, ma non supporta isterie da iperinflazione come quelle circolate un mese fa, ne scelte drastiche da parte della FED, che si riunisce la settimana prossima.

Luce verde al risk appetite quindi? Nossignore.

Più o meno allo stesso orario è rimbalzata sui media la notizia che Trump aveva licenziato il segretario di Stato Tillerson. La conferma è giunta, manco a dirlo, da un Tweet del presidente in cui, in meno di 280 battute (nuovo standard del social network da qualche tempo) ha ringraziato Tillerson, annunciato la nomina del successore, Mike Pompeo, attuale Direttore della Cia, e promosso al suo posto la vice direttrice Gina Haspel.

Dopo le dimissioni di Cohn, quest’ avvicendamento nello staff della casa Bianca vede un altro moderato, avvocato del global trade e dell’atteggiamento negoziale, lasciare il posto ad un esponente dell’ala conservatrice, percepito come assai più aggressivo in politica estera, apertamente critico della Cina, ed allineato a Trump sull’Iran e altre questioni. Non bastasse, sui media sono rimbalzate indiscrezioni di ulteriori “epurazioni” in settimana (*WHITE HOUSE IS SAID TO EXPECT MORE STAFF SHIFTS THIS WEEK: NYT).

A parte il disagio causato dalla gestione “modello reality” che Trump continua ad adottare all’interno del suo esecutivo, e nei rapporti con l’esterno, gli ultimi sviluppi aumentano chiaramente i rischi che alle minacce segua una vera e propria deriva protezionista del Governo USA, in grado di scatenare rappresaglie dai partner commerciali ed evolvere in una trade war.
Tra l’altro, superata (con la loro apposizione) la questione dei dazi su acciaio e alluminio, la prossima questione da affrontare è quella dell’annuncio, entro l’estate, dei risultati dell’inchiesta sull’utilizzo illegale, da parte dei Cinesi, delle proprietà intellettuali US. Le dimissioni di Cohn e la sostituzione di Tillerson con Pompeo fanno temere l’adozione di una linea più dura.

E infatti la reazione dei mercati mostra chiaramente una matrice protezionistica. Il primo a muoversi è stato il Dollaro, largamente percepito come vulnerabile al protezionismo sulla base dei precedenti storici. Quasi contemporaneamente, ha preso ad indebolirsi l’azionario europeo, danneggiato principalmente dal fatto di essere percepito come l’anello debole nel caso di una trade war, e in secondo luogo dalla prospettiva di un ulteriore apprezzamento dell’ €, un evenienza in aperto contrasto con la prima tesi, ma tant’è. Non a caso, a guidare il ribasso è stato il Dax, vale a dire l’indice del paese titolare del surplus commerciale più grosso. Ovviamente, anche i veicoli che investono in Cina hanno passato un brutto pomeriggio. Meglio (ma sempre in negativo) la piazza di Milano, che può contare su un diversivo dal tema delle elezioni e su un posizionamento forse più difensivo.
La chiusura europea vede perdite diffuse sui principali indici. La triste considerazione è che l’azionario europeo cede marcatamente più di  quello US dopo aver significativamente sottoperformato nella fase di recupero, una circostanza che può essere solo parzialmente spiegata dai venti di trade war, che danneggiano comunque anche gli USA.
La risk aversion ha ovviamente offerto supporto ai bonds su entrambe le sponde dell’oceano, mentre sul fronte cambi Lo yen ha recuperato quasi tutta la discesa, l’€ flirta con 1.24, e le commodities currency soffrono insieme ad alcuni emergenti, ma il quadro resta in generale composto.

Dopo 7 giorni di rialzo a fila per il Nasdaq, e una comunque rispettabile performance per l’S&P 500 nel medesimo lasso di tempo, lo show di Trump costituisce una scusa ideale per le prese di beneficio. E così, Wall Street, che aveva aperto in buon rialzo e tenuto bene durante le prime ore, sta correggendo con maggior impeto nella seconda parte di seduta, con il Nasdaq a guidare il movimento.
Per il momento la price action non è sufficiente a inficiare il quadro tecnico, che rimane rialzista.