Si inasprisce lo scontro USA Cina e i mercati si spaventano.

Gli eventi del week end costringono i mercati a rivalutare l’entità della rottura USA – Cina a inizio settimana.
Venerdi sera, i toni costruttivi delle 2 delegazioni dopo la conclusione dei colloqui avevano illuso gli investitori che le trattative potessero continuare in un buon clima nonostante la mossa di Trump. Le news avevano prodotto un violentissimo reversal, con gli indici in grado di chiudere in positivo (S&P +0.37%) dopo aver mostrato cali superiori al punto percentuale e mezzo.  Si trattava, però, di atteggiamenti di maniera, e quando, nel week end, i leaders hanno preso a produrre dichiarazioni rivolte ai rispettivi “mercati interni” i toni sono decisamente cambiati.
Con la consueta serie di tweet, Trump ha accusato la Cina di aver fatto saltare il tavolo con la speranza di trovarsi a trattare, tra 18 mesi, con un Presidente democratico. Inoltre ha magnificato l’impatto dei dazi sull’economia, e dichiarato che, in assenza di un accordo, le produzioni portate avanti attualmente in Cina torneranno in US o verranno spostate in paesi non oggetto di dazi. Donald non ha dubbi che la Cina pagherà un prezzo elevatissimo dalla trade war.
Opposta la lettura effettuata dai media ufficiali cinesi. Un editoriale sul media ufficiale del partito “People’s Daily” ha attribuito agli USA la colpa della rottura, accusando Trump di aver aumentato i dazi sabotando il risultato delle trattative. Xinhua ha pubblicato un altro editoriale in cui sostiene che i dazi danneggiano entrambi, ma maggiormente gli USA. In un ulteriore pezzo si è osservato che la Cina può superare le difficoltà grazie ai suoi punti di forza. In una mossa inedita finora, il Vice premier Liu He ha chiarito pubblicamente a quali condizioni Pechino è disposta a firmare un accordo commerciale: i) la rimozione di ogni dazio fin qui elevato, ii) la comunicazione da parte degli USA di obiettivi realistici di acquisto di beni da parte della Cina, in linea con la reale domanda, iii) la necessità che il l’accordo sia bilanciato e rispetti le dignità di entrambi i paesi. L’ipotesi di un incontro tra Trump e Xi al margine del G20 di fine giugno è stata liquidata con freddezza dal Ministero degli Esteri cinese.

Queste dichiarazioni, in aggregato, ci dicono 2 cose: 1) la distanza tra le parti è sempre rimasta superiore a quanto indicato dai toni concilianti degli ultimi mesi. 2) nessuna delle 2 fazioni sembra al momento desiderosa di abdicare alle sue rivendicazioni per ottenere la cessazione delle ostilità.
Relativamente ai prossimi passi, Lighthizer ha fatto sapere che entro oggi avremo i dettagli dell’inizio del processo per elevare dazi sui restanti 325 bln di beni non tassati. Nelle precedenti occasioni ci sono voluti tra i 2 e i 3 mesi per completare il processo, il che proietta a metà estate la deadline entro la quale potrebbe entrare in vigore questo nuovo round.
Il ritardo nella reazione cinese è stato interpretato da alcuni come una volontà di tenere in piedi le trattative rinunciando a fare rappresaglie. Ma si è rivelata una speranza vana, come vedremo.

Con questa narrativa, il sentiment positivo di venerdi sera era abbondantemente evaporato già all’apertura della seduta asiatica. Tutti i principali indici dell’area hanno mostrato perdite significative, ad eccezione di Hong Kong, chiusa per festività, mentre i futures USA già alla riapertura avevano perso un importante frazione del rimbalzo di venerdi sera.

Gli indici Eurozone avanzavano performance relativa vs USA, avendo chiuso sia giovedi che venerdi in corrispondenza dei minimi relativi di Wall Street. Ciò gli ha concesso un apertura in positivo che è però durata lo spazio di un battito di ciglia. Appena la Cina ha chiarito che la rappresaglia era in arrivo, gli indici si sono inabissati, accumulando un discreto passivo.
La mattinata era priva di dati macro di rilievo, e ciò ha lasciato gli investitori liberi di concentrarsi su ogni headline pubblicata sulla nuova crisi. Nel nuovo “tweetstorm” di Trump, non è sfuggito l’accenno al fatto che se la Cina avesse reagito la situazione sarebbe solo peggiorata. Così, quando la reazione cinese è puntualmente arrivata, il mercato azionario si è fatto un’altra gamba ribassista.
Pechino ha utilizzato un approccio “moderato”. I dazi saliranno dal primo giugno (il che offre alla controparte poco più di 2 settimane per evitarne l’applicazione) e sono costituiti da 3 aliquote (25%, 20% e 10%) che colpiscono nell’ordine 2493, 1078, e 974 linee di importazione per un totale di 60 bln, sui quali il dazio medio sarà del 9%.
Peraltro, ad esaltare l’impatto delle news sul mercato hanno contribuito alcuni tweet del recentemente ben informato caporedattore del Global Times, Hu Xijin, il quale ha rivelato che la lentezza della reazione delle Autorità è dovuta al fatto che stanno attentamente valutando le misure, per infliggere il maggior danno possibile agli USA col minor costo per la Cina. Tra le ipotesi vi sarebbe lo stop agli acquisti di agricoltura, energia ed aeromobili e la riduzione dell’acquisto di servizi.  E vari analisti starebbero studiando il modo di liquidare i Treasuries US in possesso della Banca Centrale.
Ed ecco, così, tornare alla ribalta le rappresaglie indirette, tramite le quali la Cina può colmare il divario di potenza di fuoco che gli USA vantano nei suo confronti grazie al deficit commerciale bilaterale.
Le autorità possono:
** ostacolare in dogana i beni USA. Lo hanno già fatto nel 2018.
** fermare gli acquisti di derrate agricole o prodotti petroliferi. Cosi come possono aumentarli per onorare un accordo, possono cancellarli e approvigionarsi altrove.
** colpire gli enormi interessi delle aziende USA sul territorio cinese (Apple, GM, Ford, Boeing solo per citarne alcune)
** svalutare per bilanciare l’impatto dei dazi (lo stanno già facendo, e rapidamente)
** infine approfittare dell’enorme posizione in treasuries, anche se questo è un discorso assai complesso da portare avanti
La vista di alcune di queste ipotesi, elencate bellamente su media cinesi, ha avuto un effetto pesante su Wall Street e così il sentiment si è ulteriormente deteriorato nel pomeriggio.
La chiusura europea vede gli indici mettere a segno perdite rotonde, i tassi core in discesa, lo spread in allargamento, e i safe heaven assets classici (oro e Yen) recuperare terreno. Al sentiment non ha giovato il via libera della Corte Suprema US alle class action dei consumatori contro Apple per abuso di posizione dominante sulla distribuzione di App. La pessima performance del titolo di Cupertino contribuisce a deprimere il Nasdaq in una seduta che a poco più di 2 ore dalla chiusura vede l’S&P perdere oltre 2 punti e mezzo.

Continuo a credere che la fase di volatilità sia giustificata.
1) la questione “trade” sembrava praticamente risolta fino ad appena 10 giorni fa. E invece, senza alcun preavviso, ci troviamo improvvisamente ad escalation avvenuta. Ricordo che il solo timore dello scattare dell’aumento dei dazi aveva contribuito ad alimentare la volatilità della seconda metà del 2018 (la deadline, inizialmente fissata a  dicembre 2018, era poi stata spostata da Trump a marzo 2019). E c’è poi la possibilità di un ulteriore escalation, con il processo di istituzione di nuove misure sulle restanti importazioni in corso.
2) A questa situazione giungiamo con un economia globale debole, che solo da poco stava dando segnali di ripresa in alcune aree.
3) I mercati, per contro, avevano messo in atto un significativo repricing, e quindi in aggregato scontavano fino a pochi giorni fa uno scenario abbastanza roseo.
4) sussistono dei rischi di evoluzioni negative. Per il momento le trattative non sono ancora andate ufficialmente in stallo. Ma il deterioramento da venerdì scorso è percettibile ed è possibile che la linea si interrompa nei prossimi giorni.
L’impressione personale è che il quadro peggiorerà prima che la volatilità e gli impatti macroeconomici indcano i protagonisti a più miti consigli.