Per farsi un idea di quanto i mercati fossero rassegnati al ritiro degli USA dall’accordo con l’Iran, basta dare un occhio alla chiusura dell’S&P 500 di ieri sera: -0.03% (e un buon quarto di punto sopra i livelli pre discorso di Trump).
Vero, il petrolio ha rimbalzato violentemente sulla notizia. Ma aveva perso il 4% ore prima della conferenza stampa, in seguito al circolare di indiscrezioni rivelatesi poi senza fondamento.
A mitigare ulteriormente le ripercussioni, la blanda reazione iraniana (Rouhani ha dichiarato che l’Iran continuerà a osservare l’accordo, se il resto dei paesi lo farà), che lascia intendere che gli effetti sulla situazione mediorientale potrebbero essere inferiori alle attese. E l’esistenza di un periodo di grazia di 3-6 mesi da tempo al mercato di adattarsi alla nuova realtà, anche se anche se è estremamente difficile che si giunga un nuovo accordo in quel lasso di tempo.
La seduta asiatica non ha offerto spunti di rilievo. Dopo 2 sedute brillanti, gli indici cinesi hanno consolidato (leggermente meglio le “H” shares), e gli altri indici hanno mostrato variazioni comprese tra il -0.44% di Tokyo e il +0.25% di Sydney.
Difficile capire perchè l’azionario giapponese non abbia beneficiato del calo dello Yen. Qualcuno ha indicato la salita del prezzo dell’oil, di cui il paese è forte importatore, dopo l’abbandono del nucleare. Mi pare pretestuoso. Tra l’altro, a marzo i salari hanno mostrato un rialzo anno su anno doppio rispetto alle attese (+2.1%), il che è una buona notizia sia per il reddito disponibile che per il quadro inflattivo giapponese. Vedremo i prossimi giorni se il Nikkei darà segni di vita.
L’apertura europea è coincisa con l’ennesimo dato macro scadente di questa primavera, ovvero la produzione industriale e manifatturiera di marzo in Francia. Il più lesto a reagire è stato l’€, che ha segnato un nuovo minimo relativo vs $ a 1.1825 poco dopo l’apertura. La forza del petrolio, a cui hanno contribuito anche scorte API in calo, ha esercitato un po’ di pressioni al rialzo sui rendimenti. La cosa ha offerto un po’ di supporto al settore bancario europeo. L’apertura di un nuovo spiraglio per un governo Lega -5 Stelle ha ridato un po’ di supporto a a Piazza Affari, che forse vi vede, oltre che la possibilità di evitare l’aumento dell’IVA, una politica fiscale più espansiva. Ma il BTP non gradisce molto l’impatto su finanze pubbliche e emissioni obbligazionarie di questa potenziale compagine, e così lo spread ha continuato ad allargare, sebbene in misura nettamente minore rispetto a ieri.
Nel primo pomeriggio, i prezzi alla produzione US di aprile hanno marginalmente deluso, salendo meno delle attese. Ciò riduce marginalmente la probabilità che l’assai più osservato CPI di domani esca su livelli in grado di causare shock al mercato dei tassi. Ma il mercato dei tassi era focalizzato più sull’asta decennale in programma alle 19 italiane e cosi il 10 anni treasury è rimasto attorno alla fatidica soglia del 3% per tutto il pomeriggio.
In assenza di altri particolari spunti, l’azionario europeo ha concluso la giornata con moderati progressi, trainato comprensibilmente dall’energy, e incurante del moderato consolidamento del $, dopo i massimi di stamattina. Le moderate pressioni rialziste sui tassi sono evaporate in giornata e cosi alla fine tra i benchmark europei solo il BTP vede salire il suo rendimento, per le ragioni già citate.
Dopo la chiusura europea, Wall Street ha preso maggiore abbrivio (forse perchè l’asta treasury è risultata ben coperta), e anche il dollaro ha recuperato un po’ di vigore. La conferma da parte dell’EIA del calo delle scorte ha fatto superare 71$ al petrolio.
Sul fronte tecnico, torna a migliorare il quadro per l’S&P 500. L’indice ha al momento recuperato la media mobile a 50 giorni, e sta tentando il superamento della resistenza costituita dalla trendline discendente dai minimi, lato superiore del triangolo all’interno del quale oscilla da febbraio.
Il prossimo test da superare è una chiusura sopra 2.720 che interromperebbe la serie di massimi decrescenti.
Un ulteriore motivo per essere costruttivi lo fornisce il quadro tecnico del Vix. L’indice che misura la volatilità implicita dell’S&P 500 ha chiuso marginalmente sotto 15 nelle ultime 3 sedute. In precedenza era successo solo una volta, il 9 marzo, negli ultimi 3 mesi. Un eventuale cammbio di range da parte del Vix sarebbe coerente con un ulteriroe recupero dell’azionario US.