Mercati nervosi a inizio settimana.

Venerdi sera, l’S&P 500 ha interrotto la serie negativa (6 sedute) chiudendo con un rimbalzo  (+1.4%) una settimana che resta comunque terribile dal  punto di  vista borsistico (-4.1%). Il rimbalzo finale, maturato nell’ultima ora di contrattazione, può con ogni probabilità essere interamente attribuito all’ipervenduto di breve. Riguardo le implicazioni per il futuro, di una discesa cosi brusca, Sentimentrader.com ha aggiunto altri 2 studi interessanti:
1) Partendo dal presupposto che quando un indice finisce sotto la media a 200 giorni è considerato un segnale ribassista, S. ha raccolto  tutti i casi dell’ultimo secolo in cui ciò è avvenuto partendo da un massimo annuale, in sole 3 settimane (in questo caso è partito dai massimi storici!). L’analisi rileva che i ritorni medi sono piatti nelle prime 2 settimane, ma tendono al 2% un mese dopo e sono ottimi a 2 e 3 mesi (4.7% e 6.1% rispettivamente). L’unico caso davvero negativo si è verificato nel 1929. In altre parole le brusche discese dai massimi solitamente sono correzioni e raramente cambi di trend.
2) Sentimentrader divide le decine di indicatori che utilizza in “smart money” ovvero quelli che solitamente raggiungono livelli elevati sui minimi (tipo put/call ratio, e il positioning dei commercial hedgers ), e Dumb money, ovvero quelli che solitamente li raggiungono sui massimi (tipo le posizioni degli small speculators in derivati, e i flussi negli ETF). Un elevato livello di dumb money confidence rende il mercato rischioso e viceversa. Negli ultimi giorni il differenziale (smart-dumb) è  schizzato da -30 a +30.


Dal 1998 in poi,  con il  differenziale sopra 30, i ritorni annualizzati superano il 24%, contro un 2.6% sotto -30 e un 4.5% nella zona tra -30 e +30. Selezionando tutti gli episodi di risalita sopra 30 del differenziale, dopo aver avuto  un estremo negativo, in fasi in cui il mercato è  rialzista (inteso come media mobile a 200 giorni con trend rialzista),  si ottiene un ritorno positivo a 1 mese il 94% delle volte (16 vs 1), in media del 3.2%.
In sintesi, questo tipo di price action ha un forte impatto sul sentiment di mercato (in questo caso in particolare, per le presunte analogie con il 1987), ma la statistica ci mostra che le implicazioni sia della price action che del sentiment sono più positive che negative (vedi anche lampi di venerdi).

Esaurito l’argomento statistica, passiamo alle news del week end.
** Sul fronte Brexit, è sembrato che si potesse giungere ad un qualche accordo da votare in settimana al Summit EU, ma invece Barnier ha chiarito che restano dei seri problemi, mentre il segretario UK per la Brexit Raab ha dichiarato che la proposta EU non può  assolutamente essere sottoscritta dalla May. Domani il Governo UK si riunisce, ma non si capisce bene che tipo di soluzione possa essere trovata per la questione del confine irlandese. Il rischio è che al  Summit Eu si cominci seriamente a parlare di uscita senza accordo. E’  però interessante notare che il mercato dei cambi conserva un certo ottimismo. in seguito agli eventi degli ultimi giorni, la sterlina ha ritracciato meno di una figura delle quasi 3 che ha accumulato vs € dal 24 di settembre. Chissà, magari il mercato si interroga sulla possibilità che l’impossibilità di accordarsi conduca ad un altro referendum.
** Nelle elezioni in Baviera, la CSU  e i Socialdemocratici hanno subito la prevista batosta (la CSU un po’ meno delle attese -10% al 37.2% vs il 33% dei sondaggi, SPD dimezzato e sotto il 10%), ma AFD non ha compiuto l’atteso balzo, fermandosi all’11%. I veri vincitori sono i verdi (17.5) che diventano il secondo partito, e i Liberi Elettori, che hanno ottenuto un 11.2% facendo meglio di AFD. Difficoltà serie per la Merkel, che vede messa in discussione la coalizione con l’SPD, mentre il risultato della CSU non sembra sufficientemente brutto da causare le  dimissioni del suo alleato – rivale Seehofer. Ma, se non altro, la temuta vittoria dei populisti anti immigrazione non c’è  stata. Probabilmente il verdetto definitivo sulla Grosse Koalition e sulla Merkel arriverà tra 2 settimane in Assia.

L’apertura di settimana in Asia non è stata incoraggiante, con tutti i principali mercati in calo. Pesante il Nikkei che è  impegnato in un catch up con gli altri indici, visto che scambia ancora sui livelli di settembre contro i minimi da diversi mesi (se non anni) per gli altri principali indici. La forza dello yen è ovviamente un argomento. Significativamente negativi anche gli indici del “China complex”, presumibilmente innervositi anche dall’incombere del CPI e dagli aggregati monetari e di credito di settembre, domani, e del resto  dei dati macro (produz industriale, retail sales e investimenti di settembre e GDP del terzo trimestre, venerdi. Degli altri, solo Mumbai ha continuato il rimbalzo messo a segno in solitudine la scorsa settimana ( a livello di emergenti anche Brasile e Turchia erano andati in controtendenza).

In generale un brutto viatico per la seduta europea, che infatti ha aperto con gli indici in negativo. Oggi non erano previsti dati macro in Eurozone e i mercati sono rimasti a fare i conti con le news politiche, e l’attesa della presentazione del dettaglio della manovra del Governo Italiano entro stasera all’EU. L’obbligazionario italiano è stato protagonista di una buona partenza, a conferma del moderato miglioramento del tono. In mattinata il proseguire delle tensioni tra lega e movimento sulle coperture ha causato qualche sussulto, ma alla fine il BTP ha conservato in parte i guadagni in un contesto di scambi ridotti.
Così, il sentiment a preso a migliorare gradualmente sui mercati continentali, che si sono issati  in positivo in tarda mattinata.

Nel pomeriggio, i dati USA hanno sostanzialmente confermato la forza dell’economia americana. Vero, le retail sale hanno deluso, ma la debolezza dipende dall’impatto dell’uragano Florence su alcune categorie di spesa (ristoranti), mentre il dato “control group” ha comunque tenuto. I consumi restano comodamente sopra il 3% di crescita annualizzata nel terzo trimestre. Forte anche l’Empire NY fed manufacturing index (+2.1 a 21.1 vs attese per 20). Nulla di nuovo per ora.
Ma Wall Street in questo momento guarda ad altro: la trade war, l’earning season che entra nel vivo, le frizioni con l’Arabia Saudita sul caso Kashoggi, e soprattutto il ritorno della volatilità. Cosi gli indici sono partiti in negativo, zavorrati dalla tecnologia, ovvero il settore che aveva trainato il rimbalzo venerdi, per poi inserirsi in un movimento laterale a cavallo della parità.
L’indecisione delle borse US ha permesso alla vecchia Europa di portare a casa il grosso dei guadagni accumulati in giornata, approfittando della stabilità dei tassi e degli spread. Moderato recupero dell’€, anche in risposta all’outcome delle elezioni in Baviera. Anche sui tassi USA sembra scesa una certa calma, col 10 anni agganciato al 3.15-16% da 4 sedute. Continuando così, Wall Street dovrà cercarsi altro di cui preoccuparsi, Non che manchino i focolai.
Detto dei dati cinesi, il resto del calendario macro della settimana prevede domani produzione industriale US di settembre  e il NAHB housing market index. Avremo poi le trimestrali di Morgan Stanley, Goldman Sachs, Blackrock, Johnson & Johnson, IBM e Netflix. Dovremmo vedere anche la reazione degli asset italiani alla versione finale della manovra italiana inviata a Bruxelles, in approvazione stasera. Mercoledi abbiamo le minute FOMC e le trimestrali di US Bancorp e Northern Trust. Giovedi è scarico di dati ma abbiamo gli earnings di American Express e Blackstone (e Novartis in Europa). Venerdi, chiudiamo in bellezza coi dati macro cinesi.