L’escalation della trade War spaventa i mercati.

E, infine i Cinesi si sono stufati (o forse sarebbe meglio dire che hanno deciso di cambiare tattica).
Finora, di fronte agli attacchi di Trump, la Cina ha sempre ritardato la reazione, attendendo che i dazi entrassero in vigore prima di disporre rappresaglie. Ma questa volta Pechino ha rotto gli indugi agendo su 2 livelli:
1) Le autorità hanno invitato le aziende pubbliche a interrompere gli acquisti di derrate agricole USA
2) il cambio è stato svalutato oltre la soglia di 7 vs $, un livello che era stato difeso in altre occasioni.

Balza all’occhio che la risposta dei Cinesi va a toccare entrambi i punti nevralgici indicati da Trump nelle recenti esternazioni, ovvero la svalutazione competitiva e gli acquisti di prodotti agricoli, alla base dell’ultima minaccia di dazi.
Nel week end il WSJ aveva riportato che la decisione di Trump di annunciare dazi del 10% sui restanti 300 bln di beni importati dalla Cina dal 1 Settembre sarebbe avvenuta contro il parere di tutto il suo staff e dei suoi consiglieri, ad eccezione di Navarro. E’ possibile che, con la loro reazione, le autorità cinesi stiano cercando di isolare il Presidente e alimentare dei contrasti interni all’Amministrazione USA e al Congresso.
Una spiegazione più lineare, per contro, è che le ultime  2 sortite di Trump, abbiano convinto il Presidente Xi dell’inutilità di perseguire una tregua con gli USA. A questo punto, la priorità per la Cina è di predisporsi ad uno scontro prolungato, e concentrarsi, in questo nuovo contesto, sulle finalità interne, ovvero il supporto alla propria economia in un contesto internazionale commercialmente ostile.
In sostanza, ci troviamo di fronte ad una vera e propria escalation del conflitto.

Comprensibile la reazione dei mercati. Fin dal primo mattino in Asia, i principali indici hanno mostrato perdite significative senza eccezioni. L’indice migliore risulta essere Mumbai con -1.2% mentre il peggiore è Hong Kong, penalizzato dalla prosecuzione delle proteste, con un -2.8%. Naturalmente i rendimenti hanno continuato a contrarsi ovunque a grandi ritmi, e gli asset rifugio (Yen, Oro, Franco Svizzero) hanno messo a segno performance importanti.

L’apertura europea ha visto un temporaneo tentativo di stabilizzazione. Sul fronte macro era prevista la pubblicazione dei PMI finali di Luglio, che hanno riservato qualche sorpresa: i dati aggregati Eurozone sono rimasti pressochè invariati, ma  Francia e Germania hanno tenuto un comportamento opposto, con la prima che vede revisioni al rialzo dei numeri (+0.4 a 52.6 i servizi, +0.2 a 51.9 il composite) e la seconda che vede una forte revisione al ribasso del dato sui servizi (-1 a 54.5) che si riflette sul composite (-0.5  a 50.9). Sembra che la depressione del settore manifatturiero tedesco stia iniziando a contagiare quello dei servizi, un fenomeno che Berlino farebbe molto male a sottovalutare. Il rischio recessione, per la Germania, alla luce anche degli ultimi eventi sul trade, cresce di parecchio.
Per quanto riguarda i numeri non comunicati in sede flash, la Spagna ha fatto peggio delle attese (servizi 52.9 da prec 53.6 e vs attese stabilità, composite a 51.7 da 52.1). L’Italia, per contro, ha sorpreso in positivo (servizi 51.7 da prec 50.5 e vs attese per 50.6, composite a 51 da 50.1). Purtroppo, questo recupero rischia di essere vanificato dal mutato quadro globale.

In mattinata Pechino ha mosso qualche passo per attenuare la ruvidezza del messaggio, ma si tratta di mosse formali che non mutano granchè la sostanza:
** la China National Development and Reform Commission ha dichiarato che 2 milioni di tonnellate di soia USA saranno imbarcati e spediti in Cina ad Agosto. Il Paese ha comprato 130.000 tonnellate di soia, 120.000 di sorgo, 60.000 di orzo, 40.000 maiale e derivati, e 25.000 di cotone tra il 19 di Luglio e il 2 Agosto. Sembra però più un rigetto delle accuse di non aver ottemperato ai patti che non una promessa di flessibilità
** Il governatore della Banca Centrale Cinese si è fatto sentire a metà seduta europea. La Cina non si imbarcherà in svalutazioni competitive della divisa, allo scopo di contrastare effetti negativi esterni come le frizioni commerciali. I movimenti attuali sono normali fluttuazioni del mercato, e il cambio si trova ad un livello appropriato. Anche qui, atto dovuto. La scelta di lasciare andare il cambio non è priva di costi per le autorità. Il rischio è di far ripartire le fughe di capitale, contenuto con difficoltà nel 2016.

Nonostante queste news, quindi, il sentiment si è ulteriormente deteriorato, e i movimenti si sono accentuati. I rendimenti core hanno continuato a segnare nuovi minimi, con la curva tedesca definitivamente in negativo fino al 30 anni. Il BTP è rimasto un po’ schiacciato tra la risk aversion e la compressione dei tassi globali, e così i rendimenti della carta italiana sono scesi, ma non quanto quelli tedeschi.
Il Dollaro ha ceduto progressivamente terreno, ostaggio delle crescenti aspettative di una Fed più proattiva. D’altronde l’aveva detto, Powell, che un’escalation della trade war avrebbe avuto implicazioni (dovish) sulla politica monetaria, e non sono in pochi a ritenere che Trump abbia tenuto conto di quest’effetto, quando ha deciso di alzare i toni.

Erano in molti anche a temere la reazione del Presidente USA, quando avesse ripreso in mano lo smartphone, ma finora i commenti sono stati “misurati” (in relazione a come ci ha abituato). Trump si è limitato a twittare che la Cina ha portato la propria divisa ad un minimo storico. Questo si definisce “manipolazione del cambio”, un tipo di violazione di cui la Fed deve tenere conto e che indebolirà la Cina  a medio termine. Ha successivamente aggiunto che la svalutazione fa si che la Cina paghi miliardi di tasse senza che gli Americani abbiano incrementi dei prezzi (mah?), ma si è per ora astenuto dal commentare l’argomento politicamente più spinoso per lui, ovvero la sospensione degli acquisti di derrate agricole. 

Notizie mediocri anche sul fronte macro, per gli USA nel pomeriggio. Se il PMI Markit servizi di luglio  è stato rivisto significativamente al rialzo rispetto al dato flash (+0.8 a 53) l’assai più seguito ISM non manufacturing ha clamorosamente deluso il consenso (53.7 da prec 55.1 e vs attese per 55.5) marcando il minimo da Agosto 2016. La debolezza è diffusa tra i principali sottoindici, con i New orders -1.7 a 54.1 e la business activity -5.1 a 53.1. Il livello di attività indicato è ancora decente, ma il trend è decisamente in calo (la media a 3 mesi è passata da 59.5 di dicembre a 55.2 attuale).
Considerando che l’ISM manufacturing ha marcato a sua volta un minimo poliennale (da settembre 2016) sembra evidente che i segnali di rallentamento ciclico diventano sempre più decisi anche in America.

Il cocktail di news è risultato ovviamente indigesto ai mercati, e quindi il quadro si è deteriorato ulteriormente. A fine seduta europea gli indici mostrano perdite rilevanti (Eurostoxx 50 -1.9%), i rendimenti fanno nuovi record (-0.52% il Bund 10 anni, 1.74% il treasury 10 anni) mentre le prese di beneficio hanno portato il Btp in negativo (con il contributo dell’incombere del voto di fiducia in Parlamento sul Decreto Sicurezza bis).
Decisamente marcata la correzione del Dollaro, tornato sopra 1.12 vs Euro. Solo la Sterlina, zavorrata dai timori legati alla No Deal brexit, è rimasta al palo. Sui media UK circolano un sacco di ipotesi di manovre di espansione fiscale programmate da Boris Johnson, e la stampa le collega con l’intenzione di mandare il paese a elezioni anticipate, dopo aver fatto uscire la Gran Bretagna dall’EU il 31 ottobre. Però le ultime elezioni di rinnovo dei seggi in Galles la maggioranza del Governo è ridotta ad un singolo seggio. Questo aumenta la probabilità di successo di un voto di sfiducia a Settembre alla ripresa dei lavori. Sul no deal Brexit il Parlamento darà battaglia al Premier con ogni mezzo. La situazione resta molto fluida.

Wall Street ha continuato a scendere e cede al momento oltre 2 punti e mezzo. A rendere ancora più rilevante questa debacle è la circostanza che si tratta del sesto calo a fila per l’S&P 500, per un totale di oltre un 5% (oltre il 7% per il Nasdaq 100), cosa che porta a domandarsi se non siamo vicini ad un eccesso di pessimismo, che può portare a qualche genere di rimbalzo.

La situazione tecnica vede l’indice testare ora il supporto in area 2850, sotto il quale vi è l’area 2.800, che, specie se testata in tempi brevi, dovrebbe offrire un ostacolo decente. Chiaramente, sotto il lovello di 2940 il quadro è da considerarsi correttivo.