La Casa Bianca annuncia i dazi sulle importazioni cinesi.

Il meeting conclusivo del tris di banche centrali, ovvero quello della Bank of Japan, è stato assai meno spettacolare dei 2 che lo hanno preceduto. Le misure sono state lasciate invariate, è stata abbassata la stima di inflazione,  anche se l’outlook è stato lasciato invariato. Lo Yen è marginalmente sceso sugli annunci, ma l’effetto è svanito rapidamente.
Oggi l’Asia aveva altre gatte da  pelare, ovvero, l’imminenza della pubblicazione dei dazi su 50 bln di merci cinesi importate in US. Comprensibile il  tono opaco che ha caratterizzato gli indici cinesi, e Seul, eventuale target dei futuri dazi sul  settore auto.
Sul fronte macro, in Cina i prezzi delle case nelle principali 70 città hanno accelerato  al  rialzo in maggio (+0.6% da +0.3% di aprile) con 59 città a mostrare rialzi dalle 55 di aprile. Mi sorprende poco, essendo evidente la tendenza delle autorità ad allentare le briglie all’economia, in questa fase complicata.
Tokyo, per contro si è avvantaggiata, con un giorno di ritardo degli effetti del  FOMC, avendo lo yen perso terreno vs $ ieri, anche se meno dell’€. Più sostenuti gli altri indici dell’area, a cominciare da Sydney.

L’apertura europea è avvenuta con gli indici grossomodo sulle chiusure di ieri, l’€ sotto 1.16 vs $, e i tassi ancora in robusto calo  sia su core che su periferia, BTP in testa,  per effetto degli annunci di Draghi ieri. Il calo dei rendimenti naturalmente continua a infastidire il settore bancario, l’unico a non aver festeggiato  ieri e ancora tra i peggiori oggi. Tra le  scarse news macro in Eurozone stamattina, il fatturato industriale italiano di aprile in moderato rialzo, ma con gli ordinativi in calo.
In tarda mattinata il circolare di indiscrezioni su una possibile  rottura della coalizione di Governo in Germania ha prodotto un sussulto: balzo del bund, crollo del btp,  discesa dell’€ e dell’azionario. Le indiscrezioni sono state rapidamente smentite, e i mercati hanno ritracciato i movimenti.

Nel primo pomeriggio, altri dati macro in US. La produzione industriale US di maggio ha marginalmente deluso (-0.1% da prec +0.9% e vs attese per +0.2%) ma la revisione del dato di aprile (da +0.7% a +0.9%) compensa un po’. Sul dato ha impattato un fermo produzione in un fornitore di parti per camion, che è costato un calo del 6% alla produzione di auto. La prima delle survey di attività manifatturiera regionali,  l’Empire NY di giugno, ha nuovamente sorpreso in positivo (25 da 20.1 e vs attese per 18.8). In miglioramento anche la U. of Michigan confidence (99.3 da 98 e vs attese per 98.5).

Tutto ciò è stato coperto dalla pubblicazione, da parte del United States Trade Representative, della  lista di prodotti cinesi su cui applicare i dazi. La lista contiene importazioni per 34 bln $, sulle quali verrà elevato un dazio del 25% a partire dal 6 luglio. Altri 16 bln devono essere ridiscussi.
Naturalmente,  la  Cina ha annunciato immediate contromisure: non desidera una trade war, ma deve tutelare i suoi interessi. Il portavoce cinese ha dichiarato che la rappresaglia sarà di entità commisurata all’azione, e che i precedenti accordi raggiunti durante le negoziazioni sono da considerarsi nulli. Secondo indiscrezioni raccolte da Reuters, la Casa Bianca starebbe ultimando un altra proposta di dazi su ulteriori 100 bln di importazioni cinesi, la cui discussione potrebbe cominciare a breve. Ipotizzando  un iter analogo, questi dazi potrebbero venire elevati dopo 60 giorni di dibattito. Infine, entro il 30 giugno, attendiamo, in linea teorica, le restrizioni agli investimenti cinesi il cui processo di determinazione è iniziato parallelamente alle sanzioni elevate oggi.

Insomma, come previsto sulla base degli eventi delle ultime settimane, le tensioni sul trade stanno decisamente crescendo. Finora, i dazi deliberati sono di entità ridotta, e l’impatto economico è marginale. Ma, come al solito, più che il livello, conta il trend. A forza di rappresaglie,  le frizioni commerciali possono arrivare a causare danni economici rilevanti (l’OECD ha stimato che un aumento permanente del 10% dei trade costs può limare il GDP globale dell’1% nel medio periodo).

Come espresso più volte, sono convinto che Trump stia applicando la solita tattica negoziale “aggredisci e poi tratta”. Le autorità cinesi lo sanno e staranno al gioco, perchè una guerra commerciale non conviene a nessuno dei 2. Di conseguenza, questi primi dazi e relative ritorsioni potrebbero entrare in vigore, ma ritengo che entro qualche settimana riprenderanno le negoziazioni, per giungere ad un accordo vantaggioso per entrambi, che Trump possa sbandierare in campagna elettorale per le Midterm Elections di novembre.
Supponendo che invece si vada allo scontro, nel breve sembra che sia Trump ad avere servita la mano migliore. Ha un deficit bilaterale da 370 bln sul quale elevare dazi. L’economia USA è  in forma, e la  politica monetaria e il Dollaro sono 2 armi indirette potenti con cui rendere la vita difficile all’avversario. La  Cina ha 1.3  trilioni di Treasuries US, ma il loro utilizzo come arma di ricatto è più complicato delle apparenze. E, volendo guardare al cambio come arma di rappresaglia,  è  ancora fresco nella memoria l’effetto della svalutazione di agosto 2015.
Detto questo Trump bene o male è a capo di una democrazia. In altre  parole,  deve temere l’impatto,  sul  suo consenso elettorale, delle contromisure di Pechino. Ad esempio, un embargo cinese ai prodotti agricoli USA gli inimicherebbe gli agricoltori, e cosi per il settore trasporti, chimico etc. Le  autorità  cinesi, per contro, non devono temere movimenti di breve del consenso popolare. Oltre a ciò, il loro controllo dell’economia è tale che possono, nel breve, bilanciare gli effetti dei dazi, con lo stimolo fiscale, sia pure al costo di un aumento degli squilibri di lungo periodo. Nel lungo termine, poi, la  Cina può  contare su 1.4 trilioni di consumatori, contro i 320 milioni di americani,  sia pure assai più ricchi.
Per cui, la  scontro, a mio modesto parere, non è cosi impari come sembra a prima vista.

Tornando alla seduta odierna, il sentiment si è inevitabilmente deteriorato nel pomeriggio. Così, la chiusura europea vede i principali indici europeo segnare significativi passivi, l’€ mettere a segno un moderato  rimbalzo,  e i rendimenti scendere ulteriormente, anche se gli spread periferici si contraggono,  a  cominciare da quello del BTP. Segno meno anche per Wall Street, a metà  seduta,  e marcata pesantezza sugli emergenti, che in questi giorni devono sopportarsi in contemporanea l’inasprimento della stance Fed, il dolalro forte e le tensioni commerciali. Ar un certo punto converrà riguardare all’asset class, ma forse è presto.