I mercati ostentano clma a fronte del collasso degli asset russi

Come intuibile, l’approccio al  week end in un clima di rissa tra USA e Cina non ha ispirato alcuna confidenza negli investitori,  i quali, venerdi sera nella seconda parte di seduta,  hanno pesantemente venduto l’azionario US.  L’unico aspetto positivo della  price action è che il recupero finale ha riportato l’S&P sopra quota 2600, e sopra  la Media a 200 giorni,  varcata diverse volte in intraday, ma  violata in chiusura solo il   2 aprile.


Certo,  a forza  di bussare,  c’è  il rischio che alla fine la porta si apra. Detto questo, se il  supporto alla  fine dovesse tenere,  il bottom formato dovrebbe dare luogo ad un rimbalzo di respiro più ampio.

In realtà,  il  week  end non ha portato particolari inasprimenti dei toni, anzi Trump ha tweettato la  sua fiducia nel fatto che la Cina ridurrà  le  barriere, che i dazi verranno bilanciati e si troverà  accordo sulle proprietà intellettuali. Lui e Xi resteranno “amici”. Toni concilianti anche da Kudlow e Navarro. Il  prossimo appuntamento su questo fronte è  il discorso del Presidente cinese Xi di domani al Boao Forum.
Così  i future USA hanno aperto in rialzo,  e la   seduta  asiatica non ha risentito del fosso in US di fine settimana.
La  riapertura dei mercati locali cinesi, dopo 4 giorni di stop, non ha portato particolare direzionalità. Meglio le   “H” shares,  in rialzo dopo una seduta volatile. Moderati guadagni per tutti gli altri principali indici, compresi tra il +0.35% di Sydney e il +0.65% di Taiwan.

Analogamente, l’azionario europeo è  partito bene, accumulando rapidamente un discreto progresso, nonostante un altro dato debole dalla  Germania, ovvero il  robusto rallentamento delle esportazioni (-3.2%) a febbraio. Non che le  importazioni (-1.4%) abbiano fatto granchè meglio. Il  surplus commerciale è quindi uscito 1.5 bln sotto attese, a 18.4 bln.

La novità della mattina europea è costituita dalla reazione ritardata degli asset russi alle sanzioni varate venerdì dall’amministrazione US. Fin dall’apertura la borsa russa è  crollata,  raggiungendo presto perdite a 2 cifre, il  rublo ha perso pesantemente contro $, e il credit default  swap  sul  debito russo ha visto  lo spread allargarsi significativamente.
Cosa è  successo?
Il fatto è  che, in questo ultimo round di sanzioni, gli USA hanno esteso l’embargo anche ad alcune aziende controllate dagli oligarchi “scomunicati”. Ciò  implica una chiusura del  mercato americano per loro, la sospensione di ogni relazione con le aziende US fino al 5 giugno, e l’obbligo degli investitori US di vendere ogni asset legato a queste aziende entro un mese. Una di queste, il  produttore di alluminio Rusal, è quotata ad Hong Kong ed è un emittente di bonds.
Ed ecco l’effetto perverso. In seguito all’entrata in vigore delle sanzioni, tutti i soggetti americani possessori, a qualunque titolo, di questi asset devono liberarsene entro 4 settimane.
La  comparsa di questi venditori forzati,  oltre a massacrare gli asset oggetto delle   misure (l’azione Rusal si è dimezzata a Hong Kong) ha contagiato pesantemente tutti gli asset russi. Il  sospetto è che, in un escalation di misure e rappresaglie, altre aziende russe i cui asset sono largamente detenuti in occidente subiscano lo stesso trattamento, e la  preoccupazione degli investitori e di liberarsi di queste quote prima di essere costretti a farlo in branco in una condizione di cronica assenza di compratori. E’ poi c’è la possibilità  che l’Europa si adegui, o che sanzioni del genere colpiscano anche gli asset governativi russi,  etc.

Avevano in mente un effetto cascata del genere le autorità  USA quando hanno varato queste sanzioni? Personalmente, ne dubito. Di conseguenza, ritengo improbabile che Trump voglia causare un escalation, che danneggerebbe anche la  propria industria del  risparmio e produrrebbe una nuova ondata di volatilità  su mercati che già  hanno i nervi a fior di pelle. Per non parlare dell’Europa, che ha tutto da perdere da un esplosione delle frizioni geopolitiche con la Russia.

Ciò detto, difficilmente il  Presidente USA tornerà sui suoi passi a breve.  Le divergenze con la  Russia non sono squisitamente commerciali, e a causa dell’inchiesta di Mueller, Trump non può farsi vedere troppo remissivo con Putin, che ha sua volta non mancherà di reagire in qualche modo (Medvedev ha già messo allo studio una rappresaglia).

Il rapido accumularsi di perdite sulla borsa russa (il -10% è stato sfondato nella tarda  mattinata) ha ovviamente finito con l’impattare sugli indici europei, che nel  primo pomeriggio sono praticamente giunti ad azzerare guadagni che avevano sfiorato il punto percentuale a metà  mattina.
Tra l’altro, il newsflow sul fronte trade war non è stato  particolarmente costruttivo:
** sono emerse indiscrezioni che la  Cina sta studiando una svalutazione come arma di rappresaglia
** Il  Ministero del Commercio cinese ha ribadito che al momento non ci sono le condizioni per una negoziazione
** altre indiscrezioni sostengono che la Cina ha già  pronta una bozza di reazione alle nuove sanzioni minacciate dagli USA.

Con queste premesse,  personalmente sono sorpreso che l’azionario continentale non abbia accumulato un robusto passivo, ma si sia accontentato di tornare in pari. Prendiamolo come un altro segnale che il  tono di fondo del mercato  europeo è recentemente migliorato. Certo, l’impatto delle news si nota bene considerando la  performance relativa con gli USA,  i cui future hanno conservato  il grosso del rimbalzo. Ma va ricordato che,  da metà  marzo a venerdi, l’outperformance dell’Eurostoxx 50 rispetto all’S&P500 ha superato i 6 punti percentuali.

Nel pomeriggio non c’era alcun dato un US atto a distogliere l’attenzione dai temi geopolitici. Trump non ha trovato meglio da fare che ribadire via Twitter l’arcinota differenza tra i dazi auto US e cinesi, che peraltro non viene applicata, se non erro, alle auto prodotte in Cina da GM.
Ma l’azionario US oggi aveva i bioritmi positivi, e con la modesta collaborazione di un newsflow moderatamente costruttivo sul fronte NAFTA ( RTRS – MEXICO ECONOMY MINISTER SAYS SEES AN 80 PCT CHANCE OF AN “AGREEMENT IN PRINCIPLE” FOR NEW NAFTA DEAL BY FIRST WEEK OF MAY) gli indici hanno preso solidamente la via del rialzo. Nel processo hanno trainato gli indici europei ad una chiusura marginalmente positiva, che però ha il doppio pregio di confrontarsi con un -11.5% della borsa russa (sebbene non vi sia garanzia che la resilence permanga domani in caso di ulteriori rotte) e di mantenere gli indici europei vicini al margine superiore del recente range. Coerentemente, i rendimenti dei bonds eurozone sono marginalmente saliti, e l’€ ha continuato il rimbalzo post payrolls. Al momento il mercato non crede all’escalation russa, di sicuro.

Ad un ora e mezza dalla chiusura l’S&P 500 recupera oltre 2/3 della perdita di venerdi, il che, tutto sommato, costituisce un discreto U-turn nel sentiment, ottenuto senza particolari catalyst positivi.
A supporto del mercato US si può citare, se non altro, un positioning assai più difensivo, particolarmente evidente in 2 distinti dati:
1) Il posizionamento sul future Vix, cosi come riportato dal Commitment of Traders report, è ai massimi storici, più o meno il contrario di quanto avveniva 6 mesi fa (Grafico by The Fat Pitch).

Solitamente questi picchi precedono un calo della volatilità implicita, che non è una garanzia di salita degli indici, ma non è coerente con significativi ulteriori cali.

2) Per contro, il posizionamento sul Nasdaq future ricavato dal medesimo report, è moderatamente corto, quanto basta però per registrare l’esposizione più ridotta da 7 anni a questa parte (Grafico da Bloomberg)