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Si attenua l’effetto dell’escalation USA – Cina sui mercati

Stabilizzazione del sentiment, nelle ultime ore,  dopo le montagne russe seguite all’escalation retorica tra USA e Cina sul trade.
Ieri sera, Wall Street ha lasciato sul terreno alla fine uno 0.4%, meno di un terzo di quanto perdeva il future poco dopo l’inizio della seduta europea. In generale, una reazione moderata, se consideriamo che in 3 sedute, da  quando, venerdi,  la Casa Bianca aveva diramato la lista da 34 bln di beni da tassare, la  perdita  complessiva è ammontata a uno 0.7% (senza tenere conto del rimbalzo odierno).

L’impressione è che gli investitori USA non la bevano. In 18 mesi hanno fatto il callo allo stile  di negoziazione di Trump, e si rifiutano di credere che l’amministrazione giungerà a mettere dazi su 450 bln di importazioni dalla Cina, gettando  il paese in una trade war ed esponendolo alle rappresaglie  cinesi. Per cui, al momento,  si limitano a mostrare un lieve aumento del nervosismo, maggiormente percettibile in quei settori/titoli visti come più  impattati (vedi GM -3.9%; Boeing -3.8%; Caterpillar -3.6% e il bagno di sangue osservato sul future sulle commodity agricole nelle ultime sedute).

Certo, all’atteggiamento Zen dell’azionario US contribuisce non poco la forma apparentemente smagliante dell’economia USA in questa fase, raffigurata bene dal modello GDPNow della Fed di Atlanta, che segnala un ritmo di crescita annualizzato del 4.7% nel secondo trimestre (Il modello della Fed di NY ha un meno roboante ma pur sempre brillante 2.9%)


L’impressione circolante tra  gli operatori è che l’effetto benefico del  taglio alle tasse  bilanci l’eventuale incertezza derivante dalle frizioni con Cina ed EU, permettendo a Trump di avere buon gioco nel braccio di ferro con Cina ed Eurozone (un’opinione che ha lui stesso,  a sentire il WSJ).

Effettivamente, l’azionario in Cina e Asia sembra avere un atteggiamento meno rilassato di quello US sull’argomento. A favorire un aria migliore, stamattina in Asia, ha certamente contribuito l’intervento verbale della People Bank  of China di ieri, cui sono seguite indiscrezioni di un possibile ulteriore taglio della riserva obbligatoria bancaria. Ciò detto,  il rimbalzo, in particolare sugli indici cinesi,  ammonta ad una frazione delle perdite di ieri. Stesso discorso per lo Yuan, che ha segnato  ieri i minimi contro $ da gennaio. Meglio ha fatto Tokyo, confortata, in attesa del PMI flash di giugno in uscita lunedi, dal Reuters Tankan passato  per le aziende manifatturiere da 22 a 26.

L’apertura europea è stata caratterizzata da un ottimismo leggermente più convinto rispetto all’Asia. L’accordo di massima Merkel-Macron su migranti e integrazione europea ha forse contribuito un po’. Per il resto, il settore bancario continua a recuperare a margine, dopo la batosta delle scorse settimane,  ed anche oggi le ricoperture sugli istituti italiani si son fatte sentire.

Il contributo più discusso del Forun di Sintra è venuto da Nowotny, che, nell’osservare il recente calo dell’€ contro il $, ha dichiarato che dipende dalla politica sui tassi d’interesse, riportando l’accento su un tema assai caldo qualche trimestre fa, ovvero se il cambio possa costituire un obiettivo diretto della politica monetaria. Difficile dire se ci troviamo di fronte a una dichiarazione improvvida, oppure a una deviazione rispetto alla condotta decisa in occasione del G20 di Shanghai,  6 mesi dopo che la svalutazione dello Yuan aveva creato un terremoto finanziario. In ogni caso  il  tabù era già stato spezzato da Trump l’anno scorso, quando aveva parlato di un dollaro debole “favorevole  per l’export”. Il fastidio con cui Draghi aveva accolto quelle dichiarazioni ai tempi mi fa pensare che quella di Novotny sia più  una constatazione che non un intento. Personalmente,  dissento in parte con il Governatore della Banca Centrale Austriaca. Certamente la guidance sui tassi, ribadita oggi da Villeroy (*VILLEROY: ECB RATES TO STAY UNCHANGED UNTIL AT LEAST SUMMER ’19) è stata rilevante per il calo degli ultimi giorni, ma la  discesa dai massimi di febbraio (1.25 vs $) è  dovuta principalmente alla crescente divergenza tra le 2 economie (in accelerazione quella US, in rallentamento quella EU) che si è naturalmente riflessa sui tassi ben prima di giovedi scorso. Su queste basi, sembra improbabile che il movimento sia completo.

Nel primo pomeriggio, in US, aumento inferiore alle attese per il  deficit commerciale  USA del  primo trimestre, mentre le new home sales di maggio hanno sorpreso in negativo (-0.4% da -2.7% e vs attese per +1.1%). Questa serie è  una delle poche ad aver deluso in USA di recente. Potrebbe essere un iniziale effetto tassi di interesse, ma è presto per dirlo, visto che è una serie molto volatile.

Il  sentiment si è un po’ ridimensionato nel pomeriggio sui mercati Eurozone, senza un motivo preciso se non un rimbalzo dell’€.  Draghi, impegnato in un panel con Powell e Kuroda, ha ribadito la sua view sostanzialmente ottimista sull’economia, aggiungendo però che la trade war aumenta i rischi per il ciclo, in quanto la storia insegna che il protezionismo ha sempre impatto negativo. L’accordo di massima Francia- Germania è un passo importante, ma al momento è troppo vago secondo il Presidente ECB. Alle preoccupazioni sul trade hanno fatto eco anche Kuroda e Powell. Quest’ultimo ha dichiarato che la  politica monetaria US è ancora accomodativa e quindi sono necessari rialzi graduali e ha aggiunto di non aver mai detto che avrebbe permesso all’inflazione di salire significativamente sopra al target.

La chiusura europea vede i principali indici conservare le briciole del rialzo mattutino, ed in generale una certa stabilità su divisa e tassi. Wall Street mantiene un tono positivo, riscontrabile in particolare sul Nasdaq e sul Russell 2000 small caps, entrambi in buon progresso e in grado di segnare i nuovi massimi storici. Ciò, nonostante alcune delle multinazionali del tech che compongono il  primo abbiano parecchio da perdere da un escalation con la Cina. Diverso il discorso sulle small caps, ben posizionate per avvantaggiarsi della forte crescita interna e delle condizioni fiscali più favorevoli.

Sul fronte tecnico, il Nasdaq in particolare sembra essere bene impostato, e in grado di trainare l’indice generale,  avendo avuto ragione di ogni residua resistenza, e trovandosi a 3/4 settimane dall’inizio di un earning season che si annuncia ancora una volta positiva. Il consolidamento degli ultimi 4 mesi sembra terminato. La vera incognita è Trump.