Seleziona una pagina

Multipli dell’azionario europei ai minimi dal 2016

Si dice che violenza genera violenza, e infatti la  peggior settimana da inizio 2016 per  l’S&P 500,  corredata da  eccessi di pessimismo come quello illustrato ieri da Sentimentrader.com (vedi Lampi di ieri) ha posto  i presupposti per la seduta migliore (+2.7%) dal 26 agosto 2015 .
In quell’occasione,  il rimbalzo fu effimero, e i minimi furono testati un mese dopo, prima di dar luogo a un recupero  più duraturo, che manco’  di un soffio nuovi massimi.
In questo caso, un test dei minimi in chiusura è già avvenuto ( i minimi intraday, a 2532,  distano ancora un po’),  e  la violenza della reazione, e  l’apparente follow through odierno dovrebbero essere interpretati come un segnale  positivo.  I 2 caveat sono che il livello di supporto è stato lavorato pochissimo, e che il  fine trimestre incasina un po’ i segnali, come sta sperimentando anche chi trada le divise, con il dollaro a pezzi ieri e forte oggi,  senza spiegazioni convincenti.

Il calo delle tensioni sul global trade si è notato anche sugli indici asiatici stamattina. Vistoso  il sospiro di sollievo di Tokyo, legato  anche al  rimbalzo del   $/Yen. Recupero anche per gli indici cinesi,  anche se l’entusiasmo qui è inferiore: ancora non si sa quanto costerà al  paese evitare la trade war con gli USA. E poi, complice la necessità per le  autorità di mostrare il loro lato razionale (e attenuare l’impressione che stanno riformando il  loro sistema perchè costretti da Trump), i media abbondano di dichiarazioni sui nuovi obiettivi di politica economica: sostenibilità della crescita, importanza della stabilità  finanziaria, neutralità  della politica monetaria e fiscale,  etc.
Aggiungiamoci che, con l’intento di migliorare il clima delle negoziazioni con gli USA, le  autorità hanno fatto salire lo  Yuan ai massimi da agosto 2015, e si capisce che Shanghai resti prudente. Moderatamente positivi anche gli altri indici dell’area.

Coerente anche l’apertura europea,  con gli indici in generale  robusto  rialzo. D’altronde, il  rimbalzo di Wall Street dalla chiusura europea in poi ammontava a 1.8%. L’azionario europeo è stato gratificato anche di una repentina discesa dell’€ a metà mattinata, senza un motivo preciso. Certo, ci sono state le moderate delusioni del Business, Industrial, services e Consuner confidence europeo,  ma  dubito che qualcuno si sia davvero sorpreso di queste survey. Alcuni hanno anche indicato i toni insolitamente accomodanti del membro ECB Liikanen, ma  la  verità è che è  stata  la  forza del dollaro, forse un effetto di fine trimestre, a causare il  movimento.
Sul  fronte macro, più  rilevanti gli aggregati di credito ECB di febbraio. Il  credito  alle aziende ha avuto variazione negativa (-10 bln) ma il dato segue i 68 bln di incremento di gennaio, e  l’incremento anno su anno resta su un discreto +3%.

I segnali di disgelo USA – Cina sono culminati nel primo pomeriggio con alcune dichiarazioni concilianti del Segretario al commercio  US Ross ( *ROSS: WE’RE ENDING UP WITH NEGOTIATED DEALS, NOT TRADE WARS ) viste come la conferma finale della tattica di Trump (aggressione e poi trattativa).
Successivamente,  i toni si sono nuovamente un po’  inaspriti, con lo stesso  Ross ad annunciare limitazioni agli investimenti cinesi in US in approvazione al  Congresso.
Anche i dati macro US oggi hanno avuto un tono meno positivo, seppure non certo drammatico.
La Consumer Confidence US di marzo ha corretto marginalmente (127.8 da 130 vs attese per 131)  ma bisogna ricordare che quello di Febbraio era il record da 18 anni. Le business conditions hanno pesato marginalmente sulla  componente coincidente, e la view sull’azionario (chiaramente impattata dalla recente volatilità) sulle attese. Il  livello assoluto resta elevatissimo storicamente. Deludente anche il  Richmond Fed di marzo (15 da 28 vs attese per 22) ma nel report è emerso che è aumentato  il numero di aziende che si aspetta miglioramenti a 6 mesi.

Le  news su fronte commercio e macro hanno attenuato la forza di Wall Street in apertura, e anche l’Europa ha smarrito parte della brillantezza odierna, sempre influenzata anche dalla divisa, che ha recuperato un po’ di terreno per effetto  delle news sul dollaro. Le banche poi ne hanno sempre una, e  oggi la  loro  sottoperformance sembra giustificata dall’ulteriore calo dei rendimenti, impermeabili al miglioramento del sentiment per il momento.

Wall Street non è comunque riuscita a guastare totalmente la festa agli indici europei, che hanno chiuso con performance rispettabili, seppure ad una certa distanza dai massimi intraday, segnati in tarda mattinata. Discorso  simmetrico per l’€, che ha recuperato solo parte della discesa mattutina, chiudendo la  seduta europea intorno all’ 1.24.
Cali diffusi su tutte le  curve tassi Eurozone, con una tendenza della  periferia a sovraperformare.  Difficile trovare una motivazione per questo rally dei bonds core, e  del treasury, in una giornata caratterizzata dal risk appetite. Si potrebbe argomentare che i dazi sono inflazionistici,  e  quindi un allentamento delle frizioni sul trade disinflattivo,  ma di fatto i tassi non hanno fatto che scendere per tutto  il  periodo in cui la  risk aversion di origine protezionistica ha imperversato sui mercati.
Allargando l’orizzonte temporale, risulta facile attribuire al ridimensionamento delle  stime di crescita il rally dei bonds europei dell’ultimo periodo,  essendo per 2/3 costituito da un calo dei tassi reali (10y da -0.41% a -0.55%).

Tornando, in conclusione,  sul discorso affrontato i giorni scorsi su dove la recente correzione ha spinto i multipli europei, Bloomberg ha realizzato un grafico del Price-to-forward earnings dello Stoxx 600, e  che mostra come questo sia arrivato a livelli visti l’ultima volta in occasione della Brexit, e in precedenza a inizio 2016.  L’ultima volta che l’azionario europeo ha girato stabilmente sotto questi livelli di multipli è stato nel 2013. Certo,  c’è l’apprezzamento dell’€ di mezzo. Ma giova ricordare che nel 2013 la divisa unica scambiava su livelli superiori a quello attuale.
Si può concludere che,  sui livelli attuali, l’azionario continentale  incorpora almeno in parte un rallentamento macro, e/o degli utili.
.