Seleziona una pagina

Il dollaro resta debole e l'azionario europeo ne risente

Lampi di Colore 950

Ieri sera, Wall Street ha messo a segno un raro (di questi tempi) “reversal day”, nonchè la  seconda  discesa del 2018. Gli indici sono partiti di slancio, sull’onda di buoni risultati aziendali, per ripiegare successivamente, con l’intensificarsi di qualche tensione politica (le  citate frizioni al Congresso in vista della deadline sullo shutdown,  e la  messa sotto  inchiesta di Bannon ad opera di Muller).  Alla correzione, che, tra picco e minimo di seduta, ha avuto la  considerevole  estensione di 1.4% per l’S&P  500,  hanno contribuito probabilmente anche motivazioni tecniche, tra cui il raggiungimento di soglie psicologiche da parte dei principali indici (2.800 per l’S&P, 26.000 per il Dow, e 7.300 per il  Nasdaq), con un livello di ipercomprato  di breve eccezionale.
L’ inversione di tendenza non ha mancato di produrre la  dilapidazione dell’intero rimbalzo da  parte del Dollaro.

Stanotte l’Asia non si è fatta influenzare più  di tanto dagli  umori di Wall Street.  Vero,  Tokyo ha restituito parte dei guadagni di ieri, ma tutto sommato le perdite  si  sono rivelate  marginali, nonostante il balzo  dello Yen. Merito dei core machine orders di novembre, che hanno ricordato a tutti lo stato dell’economia nipponica, mettendo a segno il secondo +5%  mensile a fila a novembre.  Anche qui,  se il  cambio si prendesse una pausa,   potremmo osservare una ripresa del movimento rialzista dell’azionario. Ma serve la collaborazione del $,  che al  momento resta debole contro tutti i cross.  Reuters ha riportato indiscrezioni secondo cui la BOJ non sarebbe assolutamente pronta a cambiare stance, e le recenti reAzioni del mercato  sarebbero considerate  “eccessive”, ma l’effetto è stato modesto .
L’azionario cinese ha continuato a  costruire sui guadagni di ieri, pur senza la  stessa esuberanza. Nuovo record di Hong Kong,  e,  tra gli indici locali,  solo le  large  caps  del CSI  300 hanno risentito dei venti freddi US. Il nervosismo relativo alla forza dello Yuan è stato attenuato  da articoli sui media ufficiali che la relegano ad una questione di debolezza del dollaro,  sottolineando la stabilità con le  altre divise del paniere e sostenendo che non serve un intervento.

Dove non sembra che siano altrettanto rilassati sulla questione cambio, è  in Eurozone. Oggi è  stata la volta  di Constancio e di Nowotny di tentare di arrestare la corsa dell’€,  esprimendo preoccupazione circa  l’impatto della sua salita sul  quadro dei prezzi. Effettivamente la divisa unica, dopo un picco sopra 1.23   avvenuto stanotte,  ha ceduto terreno, giungendo a tratti a lambire 1.22.  Ma  gli  effetti sono stati modesti a fronte dell’entità  degli interventi (4, nelle  ultime  24 ore). E poi c’è  l’effetto collaterale riguardante le  aspettative sui tassi, con l’impatto sul sentiment nei confronti del settore bancario.
Su queste basi,  l’azionario europeo ha aperto in calo, fattorizzando  la  discesa di Wall Street ieri sera,  e ha conservato  il  tono titubante delle ultime sedute, con le  banche diventate nel frattempo da fattore positivo a  zavorra.
Sul fronte rendimenti, in un mercato europeo generalmente ingessato, alcune vendite di blocchi su BTP futures hanno prodotto un moderato allargamento della carta italiana.

Nel pomeriggio, ancora buone notizie per l’economia US dalla produzione industriale di dicembre, salita oltre le attese (seppure grazie a un rimbalzo della produzione di energia causa clima). Meno brillante ma sempre positiva la  produzione manifatturiera. Lieve ridimensionamento della confidence dei Homebuilders a gennaio, ma sempre su livelli elevati.
Dopo  qualche modesta incertezza iniziale, Wall Street ha ripreso al momento la  via del  rialzo, trainata da lacune categorie di beni di consumo,  ma l’ottimismo al momento resta confinato in US (con qualche partecipazione dei futures sull’azionario giapponese) mentre l’Europa ha chiuso mestamente  in moderata perdita,  depressa dall’incapacità  dell’€ di tornare sotto 1.22 nonostante gli sforzi profusi dai membri ECB (nonchè dai malumori del  settore  bancario europeo anche a causa di quegli sforzi).
Col procedere della seduta US,  il dollaro ha ripreso a  cedere terreno su tutti i fronti, riuscendo anche oggi (per  il momento) nell’impresa di dilapidare interamente i guadagni accumulati. Tra le caratteristiche di questa ulteriore debolezza si fa notare il completo sganciamento del cambio dai differenziali dei tassi:  a differenza dei tassi europei, stabili, oggi i rendimenti americani salgono praticamente su tutte le  scadenze tranne quella trentennale,  con il 2  anni che segna un ragguardevole 2.04%. Ciò non ha avuto  alcun impatto sulla divisa, anzi,  sembra che il rapporto causa effetto si  sia  ribaltato: i rendimenti elevati non offrono più alcun supporto al cambio mentre la  salita dei primi sembra a tratti una conseguenza della debolezza del secondo.  In altre parole  un Dollaro cosi debole da dover incentivare i flussi di acquisto incrementando la  remunerazione.
Tra i cross,  spicca il balzo della  sterlina, supportata dall’apparente attenuarsi delle  tensioni interne sulla Brexit, e dai toni di alcuni membri BOE.

In questo contesto, vittima dell’incombere dello shutdown,  smarrito il  supporto  del  differenziale tassi, nel breve chiaramente ininfluente, e con la  retorica dei banchieri centrali esteri a malapena in grado di contenere l’esuberanza delle  rispettive divise, l’unico elemento a favore del   Dollaro sembra essere  il livello del  sentiment, che nel breve sembra aver pochi margini di peggioramento. Un climax mi pare probabile entro la  fine della  settimana (eventualmente col la  collaborazione di uno sblocco delle trattative a Washington). Ma la  forza del trend ribassista non sembra di quelle che si esauriscono al primo rimbalzo.