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Moody's downgrada la Cina… In giornata anche ECB e FED

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Big news durante la notte: Moody’s ha downgradato il rating della Cina da Aa3 a A1. Si tratta del primo downgrade dal 1989, giustificato con calo del potenziale di crescita (al 5%, beati loro) e dalla lentezza delle riforme, che al passo attuale non “prevengono un significativo rialzo del debito totale dell’economia”. Con la politica monetaria costretta dalla necessità di evitare nuove fughe di capitale, quella fiscale resta l’unica leva per supportare la crescita, secondo Moody’s.

Da ipercritico del modello di sviluppo cinese quale sono, trovo surreale che negli ultimi 25 anni la Cina si sia meritata un solo downgrade. Bloomberg indica il total debt (Corporate + household + government + bank debt) al 257% del GDP alla fine del 2016. Ma non è tanto lo stock, simile a quello di altri paesi industrializzati, a impressionare. E’ il ritmo di crescita del ratio, passato dal 160% del 2008 ai livelli attuali con un aumento del 60% in 8 anni.

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All’attuale ritmo di crescita del 15% annuo, il ratio sfonderà il 300% nel volgere di 2 o 3 anni. Naturalmente le autorità potrebbero rallentare l’erogazione. Lo stanno facendo, in verità, anche se, avendo allargato i cordoni della borsa per supportare il ciclo nel 2015, partono da livelli superiori a quello indicato sopra, che è la media di lungo periodo. Ma un marcato rallentamento avrà un impatto sulla crescita cinese, mandandola sotto il target.
Come una situazione del genere possa essere stata coerente con un rating stabile per 2 decenni è per me un mistero (cosi come il livello del rating). Certo, quando un governo è padrone della propria divisa, teoricamente il rischio default è nullo, perchè può monetizzare il debito. Ma intanto la monetizzazione è un default in incognito. E poi, siamo sicuri che sia un opzione per la Cina? Al primo segnale di svalutazione marcata i capitali ricominceranno a fuggire a ritmi vertiginosi.
Quanto illustrato sommariamente sopra non è certo un mistero per gli investitori, tanto che la reazione al downgrade a sorpresa è stata modesta: 1 basis point di allargamento del CDS, e stabilità per azionario e divisa (quest’ultima sostenuta dal rimbalzo del $). Ma il downgrade è un monito di quanto sia difficile, per un economia come quella cinese, ancora sbilanciata sugli investimenti e dipendente dal credito,coniugare crescita e stabilità finanziaria nel medio periodo.
Il resto dell’area asiatica ha dato poche notizie di se. Il rimbalzo del $ ha ridato fiato a Tokyo e il resto degli indici hanno mostrato variazioni ondivaghe e moderate.
L’apertura europea è avvenuta nuovamente con un clima incerto, e un livello di attività ridotto, eventualmente in vista della festività dell’Ascensione che lascerà domani a casa un buon numero di operatori del Nord Europa.
Se il calendario macro era  alquanto scarno, sul fronte ECB abbiamo avuto discorsi da parte di Praet, Constancio e Draghi. Il responsabile economico dell’ECB ha dichiarato che i rischi di deflazione sono svaniti, e la ripresa si sta rafforzando, quindi a Giugno vi sarà un nuovo assessment dei rischi macroeconomici. Constancio ha dichiarato che l’ECB è conscia dei miglioramenti macro ma cauta nel rimuovere lo stimolo,  e Draghi ha dichiarato che non c’è motivo di segnalare deviazioni dalle indicazioni degli ultimi statement.
In seguito alla corposa mole di dichiarazioni giunta dai membri ECB nell’ultimo periodo, il consenso degli investitori sembra essersi assestato sulla view che a Giugno verrà modificato il bilancio dei rischi (levando i downside risks sul quadro macro) ed eventualmente modificata la guidance sui tassi, ma non verrà toccato ne l’argomento tapering, ne il cosiddetto sequencing (la possibilità di alzare i tassi prima di aver terminato il QE).
Non a caso, la divisa unica ha reagito poco alle dichiarazioni restando sui livelli di ieri o poco sotto.

Alquanto privo di azione anche il pomeriggio.
Dopo ieri, ancora deludenti i dati sull’immobiliare US, con le new home sales in calo oltre attese, anche se la colpa va alle scorte troppo basse ce limitano l’offerta.
La presentazione della proposta di Budget decennale dell’amministrazione US ieri sera ha riservato poche sorprese. Trump prevede di tornare al surplus di bilancio nel 2027 grazie a 4.5 trilioni di tagli alla spesa in 10 anni, e un ritorno al 3% stabile della crescita US. L’idea generale è che questa fantasiosa piattaforma funga da base per la discussione al Congresso. In ogni caso buona fortuna coi tagli allo stato sociale, un anno prima delle Midterm Elections.

La seduta europea si chiude con marginali assestamenti, a parte Atene che paga il mancato accordo sul debt relief tra IMF e EU, nonostante su alcuni media siano comparse dichiarazioni ottimiste. Brusco rimbalzo dei rendimenti sulla carta greca, con modesto contagio al Portogallo, e marginale ritracciamento dello spread Bund-BTP.

Le Minute FOMC appena uscite hanno confermato l’intenzione di alzare i tassi a Giugno, e di iniziare a ridurre il bilancio FED entro la fine del 2017. La riduzione prevederebbe l’annuncio di quantitativi crescenti di assets che verrebbero lasciati scadere ogni mese. I limiti saranno inizialmente molto bassi, e verranno rivisti trimestralmente.
La reazione immediata del mercato, con azionario e bonds in leggero rialzo e il $ in marginale ribasso, indica che forse si temeva un tono più aggressivo.