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Cala il rischio geopolitico, sale quello sul trade?

Alla fine, l’azione annunciata, e poi rinviata da Trump è avvenuta, venerdi notte, convenientemente a mercati chiusi. Che gli alleati abbiano inteso dare agli investitori 48 ore di tempo per valutare la portata dell’evento? Chissà.
In ogni caso che le modalità con cui è avvenuto l’attacco rendono, nel breve,  l’impatto  sul  sentiment di entità modesta:
** Diversamente da un anno fa, gli USA hanno optato  per un azione congiunta con Francia e UK (nonchè l’assenso della Turchia) dando cosi l’impressione di prediligere la cooperazione con gli alleati alle iniziative individuali.
** Il bombardamento ha colpito solo gli obiettivi stabiliti e non ha causato incidenti (coinvolgimento di civili o di forze russe)
** La Russia era stata preavvisata, e la reazione di Putin, ancorchè aggressiva, è stata solo verbale, principalmente diretta a salvare la faccia con l’elettorato
** Sebbene Trump abbia chiarito che gli USA restano pronti a ulteriori azioni in caso di nuove violazioni da parte del Regime di Assad, al momento l’attacco è considerato concluso e non sono previsti altri interventi.

Su queste basi,  sorprende poco che la riapertura dei mercati sia stata caratterizzata da un moderato sollievo,  riscontrabile  soprattutto nel  rimbalzo dei futures sull’azionario USA e dal cedimento dei “safe assets” come i bonds e quelli direttamente interessati come l’oil.

Per un rischio che si attenua, un altro sembra pronto a riprendere un po’ di quota. L’allentamento delle tensioni commerciali USA – Cina seguito  al  discorso del  Presidente cinese XI aveva avuto una parte rilevante nella buona performance dei mercati globali la scorsa settimana. Ma venerdi i toni erano tornati ad indurirsi un po’ e nel week end sono circolate numerose indiscrezioni sui media secondo cui questa settimana vedranno la luce le  proposte di dazi su ulteriori 100 bln di merci cinesi,  annunciate da Trump  una settimana fa. Non a caso, “A” e “H” shares cinesi hanno mostrato performance pesanti,  (perdite tra 1.5% e 2%) e ciò ha sottratto progressivamente brillantezza a tutte le  piazze dell’area asiatica,  i cui guadagni a fine seduta ammontano in generale a frazioni di punto. Nella debolezza di Shanghai,  Shenzen e Hong Kong, alcuni hanno visto anche nervosismo in vista della pubblicazione, stanotte, dei dati macro di marzo (retail sales, produzione industriale, etc) e del GDP del  primo trimestre. Sul settore bancario locale ha poi pesato l’intenzione delle autorità di ridurrre il controllo sui livelli dei tassi di interesse, levando il tetto ai tassi di deposito. Resto dell’idea che le preoccupazioni sul fronte trade siano la principale zavorra  per l’azionario locale.

L’apertura europea è  avvenuta in linea col sollievo per la  scarsità delle  ricadute dell’attacco  alleato  in Siria. Il buon tono è però progressivamente evaporato in mattinata,  lasciando il posto a un clima più incerto, senza un catalyst preciso. Certo, nel week end il neo Ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz ha dichiarato che non tutte le riforme richieste da Macron si possono realizzare. Inoltre il quadro macro Eurozone continua a dare segnali di consolidamento.  Venerdi Bankitalia ha indicato un +0.2% di crescita per  il  primo trimestre del 2018,  in calo  rispetto a un quarto  trimestre 2017 che aveva già  parzialmente deluso.
Non ha aiutato il recupero dell’€, agevolato inizialmente dalla  prospettiva di un riaccendersi delle frizioni commerciali (tipicamente considerate Dollar-negative) e successivamente da un intervento diretto di Trump,  che ha accusato (con un Tweet ovviamente) Russia e Cina di svalutare approfittando del  rialzo dei tassi Fed. Una considerazione interessante, dal momento che il  principale e forse unico catalyst del crollo del  rublo sono state le sanzioni economiche imposte alla Russia, mentre lo Yuan di recente si è rivalutato nonostante le iniziative protezionistiche in corso di definizione contro la Cina.
Al  di la del  chiaro intento di punzecchiare gli avversari, il  tweet è stato  inteso come una conferma delle aspirazioni valutarie del  Presidente. Detto questo, l’impatto dovrebbe esssere effimero, a meno che questo non costituisca l’inizio di una campagna per deprimere il biglietto verde, eventualità improbabile a mio parere.

Sul  fronte macro, newsflow tendente al debole nel pomeriggio in US:
** le retail sales sono rimbalzate  a marzo in linea con le attese ma i dati dei mesi precedenti sono stati lievemete rivisti al  ribasso. Probabilmente vi è un effetto del clima.
** La  survey Empire New York manufacturing ha parginalmente delusto (15.8 da prec 22.5 ee vs attese per 18.4),  pur rimanendo su un livello coerente con un buon livello di attività. A cadere pesantemente le aspettative a 6 mesi,  che iniziano a risentire dell’incertezza legata al  global trade e alla geopolitica.
** Marginale calo per la confidence de builders, che resta su livelli comunque elevati (69 da prec 70 e vs attese per 70).

Ma Wall Street, diversamente dagli indici asiatici ed europei, ha mantenuto i progressi della  prima ora. Il suo buon tono non è stato sufficiente a risollevare gli indici Eurozone, che però hanno chiuso con perdite frazionali (ad eccezione di Londra). Per contro, i rendimenti europei hanno mantenuto la tendenza a salire,  pur riducendo i rialzi,  anche alla  luce della stabilità di quelli US.
Dopo la chiusura europea, l’S&P 500 ha accelerato  al  rialzo e sta producendo un test un po’ più convinto della resistenza posta a 2670. Vista la coriaceità del livello, testato almeno 3 volte nell’ultimo mese, conviene attendere la conferma (possibilmente con una chiusura sopra 2.700) prima di fissare obiettivi tecnici al rialzo.