Un altra serie record è caduta ieri, sotto i colpi della fiammata di volatilità osservata sull’azionario durante il mese di Febbraio. Il numero di mesi consecutivi a total return positivo dell’S&P 500 si è fermato a 15 (novembre 2016 – gennaio 2018) eguagliando il precedente record, stabilito nel 1961. Con il suo -3.9% Febbraio è il peggior mese da 2 anni, a ulteriore conferma che queste serie,quando si interrompono, lo fanno in maniera brusca.
Tornando per un istante a quanto illustrato ieri, oltre al quadro macro, anche la prospettiva storica supporta in qualche modo la teoria che non dovremmo trovarci di fronte ad un inversione del trend. Un analisi di Bianco Research integrata da the Fat Pitch mostra che tra la fine di questi periodi caratterizzati da stabile momentum positivo, e l’inizio di un bear market è sempre trascorso almeno un anno.
Un modo diverso di ribadire che, solitamente, un trend prima di invertirsi si indebolisce (vedi Lampi del 26 Gennaio, in fondo, grafici e testo).
L’Asia ha reagito con una certa flemma alla seconda frana americana di fila. Tokyo era la vittima sacrificale, con la sua correlazione con Wall Street, e lo yen che, unico, continua a recuperare terreno contro $ (e quindi ne recupera il doppio contro altre divise). Totalmente snobbato il buon dato di capital spending per il quarto trimestre, mentre il PMI giapponese finale di febbraio ha recuperato uno 0.1 a 54.1. Altra aria sui mercati cinesi, che hanno reagito positivamente alla sorpresa sul PMI manifatturiero calcolato da Markit (51.6 da 51.5 e vs attese per 51.3 ma probabilmente dopo il fiasco del PMI ufficiale di ieri il vero consenso era più basso). Come noto questa survey si rivolge principalmente ad aziende private di medie dimensioni ed è più volatile. Considerando che a Febbraio cadeva anche la settimana di festa per il Capodanno, i livelli di attività sembrano buoni. positive sia le “H” che le “A” shares, mentre gli altri indici dell’area hanno mostrato modesti cali (Seul chiusa per festa).
L’apertura europea ha fatto illudere che gli indici potessero ammortizzare anche oggi la sottoperformance USA. Niente del genere. A metà mattinata gli indici hanno preso solidamente la via del ribasso, zavorrati dal Dax, che annovera pesi importanti nei settori meno favoriti oggi (Auto, Basic Resources, Tech e Industrials). E poi c’è sempre la questione del Referendum SPD sulla coalizione.
Rispetto ai dati Flash, i PMI finali manifatturieri di Febbraio hanno mostrato revisioni ridotte, meglio la Germania (+0.3 a 60.6) e peggio la Francia (-0.2 a 55.9) per un +0.1 per il dato Eurozone (58.6) sempre quasi una standard deviation e mezza sopra la media. In periferia meglio la Spagna (+0.8 a 56) dell’Italia (-2.2 a 56.8).
In US oggi i dati hanno avuto generalmente un buon tono:
** il Personal income è salito sopra le attese (+0.4%)a gennaio grazie ai salari, mentre lo spending è uscito in linea +0.2%.
** Il PCE core è uscito robusto in linea con le attese (+0.3%, 1.5% anno su anno)
** I Jobless Claims settimanali hanno fatto i minimi dal 1969
** L’ISM manufacturing di febbraio ha sorpreso in positivo (60.8 da prec 59.1 e vs attese per 58.7) massimo da maggio 2004. Il quadro offerto dai sottoindici è leggermente più debole (new orders e production in calo rispettivamente a 64.2 e 62) ma sempre solido.
In generale dati che continuano a indicare un ciclo in buona salute e un manifatturiero in robusta espansione. Diciamo che qui i segnali di moderazione visti altrove non sono ancora comparsi.
Nel discorso al Senato, Powell è sembrato moderare un po’ i toni rispetto all’enfasi positiva di martedi. Non si vedono ancora segnali di surriscaldamento dell’economia, ne di accelerazione brusca dei salari. Sul fronte fiscale, il contributo alla crescita sarà forte nei prossimi 2 anni ma questo livello di stimolo non è sostenibile nel lungo periodo.
La reazione dei mercati ai commenti è stata inizialmente positiva, ma in verità non è emerso nulla che cancelli l’idea che la FED potrebbe alzare i tassi 4 volte quest’anno, e cosi il rialzo è evaporato, con il contributo forse dei chiarimenti di Dudley (*FED’S DUDLEY: FOUR 25 BP RATE HIKES `WOULD STILL BE GRADUAL’) e le dichiarazioni bellicose di Trump sui dazi sui metalli industriali (*TRUMP SAYS HE WILL IMPOSE TARIFFS ON STEEL AND ALUMINUM IMPORTS). Qui la preoccupazione è su come la prenderà la Cina, e che tipo di rappresaglie metterà in atto.
La debolezza di Wall Street nel tardo pomeriggio ha ottenuto l’effetto consueto sull’azionario europeo, che ha chiuso sui minimi di seduta, chiaramente innervosito dall’idea che l’S&P possa per la terza seduta di seguito accelerare al ribasso in serata. Se non altro, oggi non si possono dare colpe ai tassi, che scendono moderatamente su tutte le curve e scadenze, e navigano ad una certa distanza dai massimi segnati giorni fa (treasury 10 anni 2.84% mentre scrivo).
Sul fronte tecnico, mentre continua il lavoro del Dollar index per avere ragione della resistenza in area 90.60, la discesa degli ultimi giorni ha portato l’S&P 500 al test del supporto in area 2700, ex resistenza. Un cedimento riapre ad un test dei minimi, non prima di aver incontrato in area 2570 nuovamente la media mobile a 200 giorni.