Per chi, come il sottoscritto, è entrato in ufficio in orari europei, a prima vista la seduta asiatica è sembrata simile a quelle che la hanno preceduta: una certa esuberanza a Hong Kong, costruttività negli altri principali indici, modesto consolidamento a Tokyo.
Quel che il quadro statico non coglie, è la violenta oscillazione dell’azionario giapponese, il quale, salito inizialmente del 1.7%, ha perso dai massimi oltre il 3.5%, per poi recuperare quasi la parità nel finale, lasciando gli investitori a interrogarsi sui motivi di quest’esplosione della volatilità realizzata intraday, ma soprattutto sulle implicazioni per l’azionario globale.
Riguardo i primi, le ipotesi fatte sono quelle tipiche di quando manca un catalyst credibile (scadenza opzioni, algoritmi, prese di beneficio a 23.000 punti di Nikkei etc).
Circa le seconde, direi che il punto è se ciò implica un inizio di fase correttiva per l’indice migliore degli ultimi 2 mesi.
Sul fronte tecnico, la price action disegna un enorme doji al termine di un rialzo che ha visto l’indice accumulare un ipercomprato siderale (RSI 14 Daily > 90). Se seguito da una discesa (cosa che mi pare probabile, con l’aria che tira a fine giornata) indica una possibile inversione del trend.
Onestamente, non è che l’azionario giapponese possa essere considerato un trend setter per i risk asset globali. Prova ne è che fino all’esplosione autunnale il Nikkei era stato tra i peggiori indici azionari, rimanendo pressochè al palo.
Ciò detto, una brusca correzione può facilmente contagiare altri asset attraverso i consueti canali (cambi, shock di volatilità etc) specie in questo periodo dell’anno.
Nonostante il Nikkei, la mattinata europea non ha avuto toni particolarmente travagliati. Sul fronte banche, un atteggiamento più collaborativo dell’organo di vigilanza ECB (*NOUY SAYS DATES OF NPL GUIDANCE IS ELEMENT THAT CAN BE REVISED) e alcune trimestrali (Unicredit, BPER) hanno ridato un po’ di vigore al settore bancario. A tradire un po’ di nervosismo, alcune reazioni a trimestrali non in linea con le attese (mi vengono in mente Siemens, Adidas, Yoox, Azimut, Europcar…). In generale mi sembra di notare una certa asimmetria al ribasso.
Protagonisti della tarda mattinata sono stati i bonds europei, vittime di un brusco selloff senza particolari distinzioni, a parte una moderata tendenza alla sottoperformance da parte dei periferici.
Come catalyst si sono indicate alcune dichiarazioni tendenti all’hawkish da parte di membri ECB (CONSTANCIO SAYS RECENT DATA INDICATE GROWTH COULD BE STRONGER. ECB’S LANE SAYS HE DOESN’T RULE OUT INFLATION SURPRISES. MERSCH SEES VERY TIMID SIGNS OF INFLATION PRESSURES BUILDING UP) ma in realtà discorsi simili i giorni scorsi (vedi le indiscrezioni sui dissensi eccellenti) non hanno sortito effetti apprezzabili.
Avendo più volte osservato che la forza dei bonds europei cozzava con il sentiment globale, l’incombente riduzione degli acquisti e la forza di oil e commodites, sono l’ultimo a stupirmi se tornano un po’ coi piedi per terra.
In ogni caso, l’improvvisa volatilità sui bonds ha incrementato il nervosismo latente sui mercati e offerto supporto all’€ vs un dollaro a sua volta nervoso per l’incombere della pubblicazione della bozza di misura fiscale del Senato. Tra l’altro, in nottata era trapelato che si sarebbe trattato più di un illustrazione di concetto che di una proposta legislativa dettagliata, il che ha messo un po’ di pressione anche ai future azionari US.
Nel pomeriggio l’aria ha continuato a rarefarsi sui mercati. Inizialmente Wall Street ha provato a rimbalzare dalle secche dell’apertura, ma senza la consueta verve.
Tassi in rialzo, la forza dell’€ (un po’ conseguenza dei primi) e l’incertezza a Wall Street hanno imposto agli indici europei perdite in media superiori al punto percentuale. In difficoltà per una volta anche il credito, contagiato dalla volatilità sugli altri asset.
A mercati europei chiusi è arrivata una conferma che il Senato US sta lavorando su un ipotesi di riduzione della corporate tax solo nel 2019, e ciò ha aumentato la risk aversion. E’ evidente che il mercato si rifiuterà di prezzare una misura il cui impatto è cosi distante nel tempo, senza contare che, alla luce delle possibili differenze tra le bozze di Senato e Camera, la riconciliazione avrà tempi lunghi.
Personalmente, stento a credere che i Repubblicani al Senato facciano sul serio. Un simile rinvio vorrebbe dire diminuire il potenziale politico della misura fiscale in vista delle Midterm elections, aumentando il rischio di perdere la maggioranza risicata che hanno (3 seggi). Vedremo.
L’impatto si è notato anche sul $, anche se non cosi forte come si poteva immaginare, mentre i treasuries sono rimasti stabili, limitandosi a outperformare massicciamente i bonds europei, che hanno ottenuto un supporto solo marginale dalla risk aversion. Dopo essere arrivato a perdere l’1%, l’S&P 500 sta nuovamente provando a rimbalzare. Una chiusura positiva sembra un filo ambiziosa oggi, ma la “dip buying culture” è più forte che mai e quindi non mettiamo limiti. Peraltro, Small cap, high yield e bond emergenti continuano a faticare. In generale, i segnali premonitori di una correzione che super l’ 1/2% di estensione tra massimo e minimo continuano ad aumentare.